Ho iniziato a occuparmi dell’aspetto socio/politico della musica mio malgrado, oramai quasi 50 anni fa. Erano gli anni ’70 e, tra gli slogan anche un po’ stupidi come “La musica deve essere gratis”, ce n’era uno che invece era scaltro, lungimirante e per me assolutamente vero anche nel 2021: “La Musica (non Classica) è Cultura”. Poi nel corso degli anni ho visto questa idea diventare realtà. Dapprima il Jazz, che ottiene questo status già alla fine degli anni ’70, e poi via via anche altri generi. Non sempre per motivi nobili: ho conosciuto assessori alla cultura non in grado di distinguere i Ricchi e Poveri dagli Autechre, che organizzavano “Rassegne Rock” perfino interessanti per scopi elettorali o d’immagine. Però le cose iniziano a muoversi: nel ’74 nasce il Premio Tenco, nel ’93 Sanremo Giovani, insomma arrivano molti segnali di un interesse, non sempre e non solo commerciale, verso la Nuova Musica Italiana (etichetta inventata dalla discografia negli anni ’90 per raggruppare generi diversi). Nel frattempo nasce, cresce e si afferma un’altra pedina importante, la stampa musicale: assai esterofila all’inizio, durante gli anni ’80/90 svolge un ruolo essenziale per conferire profondità ai nuovi autori italiani, talvolta giovani. Se guardiamo la situazione odierna, al netto di alcuni aspetti esagerati (Jova filosofo, Ferretti santo subito), intorno alla musica italiana c’è un certo rispetto, e chi ha qualcosa da dire oggi può farlo (anche grazie alla morte della discografia tradizionale). Perfino le esegesi delle performance di Achille Lauro a Sanremo mi sembrano segnali di un’attenzione particolare, in questo caso ingiustificata ma comunque.
La parola chiave di questo cambiamento è Autore, nel pieno rispetto della tradizione italiana, da Verdi in poi. Naturalmente ognuno di noi ha, o dovrebbe avere, una top ten di autori italiani preferiti, gente dalla bella penna e scintillante favella poetica, funamboli della parola e cesellatori di pensieri. E sono ben felice che oggi siano celebrati sia dal pubblico che dalla critica: se lo meritano. Però dai tempi di De Andrè il mondo è radicalmente cambiato, e così la musica; sono nati nuovi generi, nuove figure professionali (come il produttore), nuove filiere produttive, nuovi modi di fruire la musica. Purtroppo in questo scenario la figura dell’autore, sebbene importantissima, non è più così fondamentale, o quantomeno non mi pare la sola. Questo ritardo, apparentemente innocuo, ha avuto un risvolto inaspettato e micidiale con l’arrivo della pandemia.
Durante questo ultimo anno abbiamo sentito infinite dichiarazioni sul gravissimo danno sofferto dalla cultura del nostro paese, si è parlato di incentivi e ristori, le società di diritto d’autore (come SIAE) hanno prodotto ripartizioni straordinarie per gli iscritti (autori), e sono stati organizzati eventi musicali in streaming per dare sollievo alla popolazione: niente di meglio di un Bocelli per farti passare mezz’ora senza pensieri. In tutto questo chiacchiericcio e iniziative inutili a tue spese (come la Netflix della cultura italiana) c’era un grande assente, un convitato di pietra: la Dance (variamente intesa) e le discoteche. Come mai? Secondo me per una ragione terribile ma ovvia: quello è intrattenimento, non cultura, e lo svago non si merita niente. Poi, quando finisce la pandemia, tornate a sculettare come Vacchi su Instagram. La Techno mica è musica d’autore, il Premio (alla canzone d’autore) è Tenco, leggi bene. Il meraviglioso (immaginario) remix di Leo Mas & Fabrice di una cover dei Temptations rifatta da un DJ spagnolo, per la SIAE non esiste – figurarsi per il Tenco. Chi è l’autore di un pezzo House? Chi lo scrive? Chi lo suona? Chi lo balla? E come faccio a spiegarlo a uno come Franceschini? Dice: ma la discoteca è assembramento, contagio, morte. Da quello che vedo in Tv non direi: urlare Po Po Po abbracciato a uno sconosciuto senza mascherina mi sembra equivalente. Eppure nemmeno nell’ultimo DPCM si parla di Discoteche: scuotere il bacino è l’ultimo dei problemi del paese. Prima la Cultura!
Quindi sono contentissimo che oggi gente come Riccardo Sinigallia o Gino De Crescenzo abbiano l’attenzione che meritano. Però registro con orrore e disperazione questa deficienza culturale, questa incapacità di valorizzare l’immenso calderone di talento che abbiamo, solo perché non corrisponde all’idea dominante di Cultura. I cui custodi sono tutti vecchi (sicuramente dentro), e tutti affezionati alla propria idea di Cultura Pop, spesso a scapito delle altre.