Non sono il primo a dire che i Social media sono disegnati per tirare fuori il peggio di noi, anzi sono l’ultimo. Negli anni ne ho scritto ripetutamente anche su Rumore (le ultime due volte qui e qui). È una questione tecnologica, sociale, politica e antropologica molto importante che, come sappiamo benissimo quasi tutti (dal caso Cambridge Analytica in poi) richiede raffinate analisi e azioni normative urgenti. Nel frattempo ognuno tiene duro come può: c’è chi ha abbandonato tutte le piattaforme, chi ci rimane ma cerca di ostacolare la raccolta di dati personali e chi, per motivi vari (senso di onnipotenza o di rassegnazione, machismo o altro) ignora ogni cautela e si abbandona alle piattaforme, cedendogli senza remore qualsiasi dato – inclusi alcuni molto personali (come informazioni sulla propria salute o situazione sentimentale).
Tra le trappole micidiali dei social (Facebook in particolare) ce ne sono due assai diaboliche: la polarizzazione, cioè la riduzione di qualsiasi tema a un codice binario sì/no, bello/brutto, piace/non piace, e l’obbligo della sintesi pena l’oblio – la maledizione dei 280 caratteri. Questo è vero anche su Facebook, che premia i post brevi e rallenta quelli più lunghi. Il risultato di questi due fattori è l’eliminazione di qualsiasi opinione interstiziale, articolata, che non si esaurisce in un LOL ma richiede mezza riflessione (cioè il 90% delle mie). Qui entra in gioco un terzo fattore: noi. Nello scrollare infinito e tragico, nella disperata ricerca delle piccole dosi di dopamina che ci procurano i like, molte persone (a volte squisite nella vita) si sono adeguate a questo contesto. Hanno capito che A) devono piacere ai propri contatti, spesso dicendo cose sullle quali sono già tutti d’accordo; e B) che deridere senza pietà qualcuno che dissente dal proprio gruppo di riferimento procura molti like. C’è gente che passa giornate a scrivere nella timeline dei no-vax per poi mostrare gli screenshot ai suoi contatti e dimostrargli quanto è spiritoso/agguerrito/impavido (e quanto siano rozze/ignoranti/disagiate le sue vittime). “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli. Prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”. Questa famosa citazione di Umberto Eco nella mia esperienza è incompleta: I social media obbligano anche persone intelligenti e sensibili a dire cose talvolta grossolane e prive di sfumature per fare colpo sui propri contatti. La pandemia ha ulteriormente esasperato l’ambiente.
Un luogo nel quale sei no-vax o sì-vax, senza vie di mezzo. Perfino posizioni in fondo semplici, come essere favorevoli ai vaccini ma perplessi sulle modalità di uso del Green Pass, vengono triturate senza appello per avere dei like. Quando un gruppo di filosofi (qualcuno dei quali assai titolato) si è permesso di esprimere delle opinioni lievemente più strutturate, è stato ricoperto di merda. Da gente brutta, ma anche da persone gentili e abitualmente sensate, finite in quel gorgo psicotico che è la ricerca di consenso.
Ho 62 anni e nella vita ho attraversato molte situazioni e opinioni, facendomi un’idea del mondo assai variopinta e sfumata. E mi pare desolante discutere se Amadeus sia un vero rivoluzionario, avendo invitato a Sanremo Achille Lauro (o Drusilla Foer) “per far scoppiare il fegato a Pillon”. È una stupidaggine, se ne accorgerebbe anche uno stupido se non fosse schiavo dell’approvazione dei suoi contatti, a cui Pillon non piace. Ho voglia di stare in un posto dove tutte le opinioni che non siano bianche o nere vengono sfottute, insultate e sminuite? Questo secondo me è un punto importante; come forse sapete ho fatto dello sfottò una delle mie forme di espressione poetica (dal Mulino Bianco a Ansaloni), e so che una regola fondamentale di questo esercizio è l’esattezza. Ma nella miseria social l’esattezza non esiste, se sei perplesso sei no-vax, se non ti piace Achille Lauro sei omofobo, o con Pillon o con Amadeus. Bitch please.
Quindi da oggi provo a cambiare qualcosa. Dato che FB è un eccellente canale per diffondere prodotti, lo userò così; è possibile che ci colleghi questo sito e il mio account Instagram, così da far comparire i miei post e pubblicizzare il mio lavoro. Ma basta conversare con persone (qualcuna altrimenti amabile) che tutto hanno in testa tranne che fare una conversazione sensata. Non sono tutti (c’è gente assai interessante tra i miei contatti) ma sempre troppi.
Ottima riflessione Sergio, mi fa molto piacere! Credo fermamente da un po’ di anni che i social sono proprio strumenti per dividere le persone senza una via di mezzo come dicevi tu bianco o nero, sono antisociali. Specialmente in questo periodo storico sarebbe utile dialogare dal vivo e usare i social solo per la promozione di prodotti. La situazione Green pass è veramente assurda.
Ciao