Tutto il mondo sarà pure paese ma vivaddio restano parecchie differenze. E non solo tra paese e paese, ma tra continente e continente. Le emergenze poi, soprattutto quelle relative al pericolo di attacchi terroristici, mettono bene in evidenza queste differenze e ci consentono di capire meglio la natura dei popoli.
Ho trovato splendida la reazione britannica agli attentati dei giorni scorsi: via le televisioni, oscurate da teloni e divieti. Nessuna sospensione della vita pubblica, tant’è che Blair è partito dal G8 quando si è sparsa la notizia, ma ci è tornato la sera stessa per non interromperne i lavori. Il gran premio di Formula uno di Silverston, programmato per il 10 luglio, si svolgerà regolarmente, preceduto da un semplice minuto di silenzio in memoria delle vittime. E, diversamente dall’11 settembre statunitense zero patriottismo, nessuna bandiera esposta, niente scritte per strada o titoli sui giornali contro gli arabi, nessuna richiesta di giro di vite – nemmeno dall’opposizione.
Un atteggiamento civile e invidiabile, secondo me. Per molte ragioni tra cui una mi sembra (fin dall’11/9/01) centrale: il simbolismo. La guerra di Al Qaeda è innanzitutto simbolica, e in questo campo hanno stravinto, creando una delle immagini più potenti della storia dell’umanità: le torri in fiamme. L’America ha reagito scegliendo un proprio linguaggio dei simboli (il patriottismo, le minacce, la guerra cannoneggiata, il machismo) e per adesso ha perso. Come dite? L’Afghanistan si avvia a diventare democratico? Pure l’Iraq? Puo darsi; ma questi sono risultati militari, politici, semmai diplomatici, ma sul piano simbolico fin’ora ha straperso. Per esempio: dove sta Osama Bin Laden? Come mai a quasi quattro anni dalle Twin Towers è ancora libero? Se foste ragazzi yemeniti (o palestinesi, o afghani) quest’uomo così bello, potente e inafferrabile non vi sembrerebbe invincibile?