Una delle definizioni che si utilizzano molto di frequente negli ultimi tempi a proposito della musica elettronica è sperimentazione. Lasciatemelo dire: di artisti genuinamente sperimentali ne ho conosciuti pochi, meno che mai tra i musicisti. E’ ovvio che in ogni percorso creativo c’è la sperimentazione; di solito viene subito prima dell’individuazione di un linguaggio, uno stilema che funziona e che poi si riproduce, più o meno consapevolmente (a volte proprio scelleratamente, fino al completo esaurimento della vena). Questo è il percorso abituale; poi ci sono gli sperimentatori, che sono tutt’altro. Uno di questi era Carmelo Bene.
Che pure ha avuto le sue fasi di riproduzione di se stesso, ma che è stato sempre coerente all’idea che NIENTE è scontato, fino alle estreme conseguenze, che nel suo percorso lui indicava come l’impossibilità, la scomparsa, l’assenza. Ogni frammento del suo lavoro regala l’essenza del suo metodo: tante domande e pochissime risposte. Uno che deve aver avuto una vita bellissima ma anche terrificante, che non invidio ma ammiro enormemente. Quindi per cortesia, quando utilizziamo termini come sperimentazione o ricerca, cerchiamo di capire se è quella ricerca che poi trova (come succede alla stragrande maggioranza delle persone, e va benissimo) o invece è del tipo (raro, rarissimo) che cerca, e quando trova poi continua a cercare.