Una antica canzone di Gianni Morandi (se non ti sembra antica allora lo sei anche tu: è del ’66) diceva “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones.” Ora, forse a Monghidoro, paese natale del Gianni, uno così c’era pure, ma il resto dei ragazzi del mondo si dividevano in amanti dei Beatles e degli Stones. Le aree di sovrapposizione erano pochissime, e non sorprende: sono due stili diversissimi di musica, di scrittura, di vestiario, di droghe; sono due immaginari separati e distanti. E’ interessante notare che tutt’ora certa musica di matrice rock si può dividere in Beatles e Rolling Stones. Poi per fortuna sono arrivati anche altri modelli come Fela Kuti, gli Wailers di Bob Marley, i JBs di James Brown, i Funkadelic, ecc. e la situazione si è evoluta.
Io, pur essendo antico, sono arrivato quando questa diatriba era finita, ma i due gruppi di appartenenza erano ancora ben distinguibili: da un lato band molto beatlesiane come i Genesis di Peter Gabriel, e dall’altro gente come gli Stooges, decisamente più Stones (senza mai dimenticarsi degli Who, che sono pure importantissimi). Ho sempre avuto il dilemma: Beatles O Rolling? Sicuramente in studio avrei preferito stare coi Beatles, per capire come hanno fatto a scrivere e realizzare certe cose, e magari anche una vacanzina con Ringo mi avrebbe divertito. Ma vuoi mettere gli Stones? Belli, sporchi e cattivi, pieni di donne e droga, con un capolavoro vivente come Keith Richards (che ormai è come la Gioconda) e il batterista più enigmatico della storia, Charlie Watts. Un musicista paradossale, incredibilmente efficace ma tutto storto, fuori tempo ma insostituibile, con quella faccia da marziano. Non ce n’è: i Beatles avranno pure cantato canzoni più ispirate, ma l’aura degli Stones non ce l’hanno avuta mai.