Mi scrive Piero: “Confesso che sono un po’ stanco dell’atteggiamento di Rifondazione Comunista, che accusa di liberticidio ogni tentativo di far rispettare le regole della vita civile organizzata, non capendo che le prime vittime dell’illegalità in certi quartieri delle nostre città, sono proprio le classi più deboli, che non possono permettersi di trasferirsi in altre zone residenziali “sicure”, con servizi efficienti, asili e scuole di qualità. Non credo che Cofferati si sia trasformato in un emulo di Gentilini, ma penso però che egli abbia capito che far rispettare le regole sia un compito da non lasciare in mano alla destra, la quale, oltretutto, essa sì, lo assolverebbe in modo retrivo e persecutorio verso i più deboli. E’ certo più simpatico e accativante abbracciare qualsiasi posizione favorevole ai movimenti di protesta e contestazione del nostro ceramente schifoso sistema, ma non capire che pisciare e vomitare nei portoni, spaccare tutto ciò che è pubblico, impossessarsi della roba altrui, soprattutto degli indifesi, è altrettanto fascista che mettere in galera un ragazzo per una canna. Così facendo, abbandoneremo le nostre città agli sceriffi, che saranno votati, oltretutto, proprio dal popolo. Penso che sia dovere di tutti lavorare per migliorare il mondo in cui viviamo, lottando contro i soprusi dei potenti, ovviamente, ma cominciando a guardare anche dentro noi stessi.”
E io, che non mi faccio mancare mai niente, gli ho risposto: “Credo che far rispettare le regole della vita civile sia una cosa che vada sempre modulata in qualche modo. Come si regola il sindaco di Berlino durante la street parade? Ma anche più banalmente come fà Chiamparini coi Murazzi a Torino, o l’orrendo Albertini coi Navigli? Esistono delle forme di compromesso nella convivenza urbana; qualcuno di questi e’ legato alle forme di vita che, per generazione o genere, hanno abitudini diverse. Certo che vomitare nei portoni e’ orribile, ma il punto è: questo avviene ovunque. Non si puo’ pensare di sradicare un fenomeno come “la gente va in centro la sera e fa casino”. Si puo’ cercare di contenerlo, di regolarlo (anche offrendo alternative plausibili, e non e’ il caso di Bologna) ma sradicarlo vorrebbe dire privarsi anche del lato positivo dell’aggregazione di umani difformi.
Bologna poi è una città che soffre, e non da oggi. Malgrado si immagini allegra, fiorente e di sinistra, è una città implacabile dove se non hai la tessera dell’Arci stai a casa, dove c’è la piu’ rigida compartimentazione tra bolognesi e studenti fuorisede, dove c’e’ una tale prassi si spegnimento preventivo del conflitto che tutte le esperienze di autogestione (che, comunque la si pensi, sono anche piccoli laboratori di sperimentazione sociale) sono fallite. E non parlo da spettatore: ho abitato a Bologna due anni (da studente, nel giurassico), e ci ho praticamente vissuto altri tre, non troppo tempo fa. Inoltre ci vengo spesso per lavoro e ho molti amici (perlopiu’ fuori dal circuito antagonista) bolognesi (nati lì, insomma).
Credo che Cofferati abbia scelto un linguaggio miope e sbagliato. Ma non gli e’ venuto casualmente. Appartiene ad una lunga tradizione, anche sindacale, di disprezzo per le diversità. Ho 45 anni, e ho fatto in tempo a prendere le mazzate (quelle forti) sia dalla polizia che dal servizio d’ordine del sindacato e direttamente dagli operai del PCI. Mi ricordo bene come ci guardavano a noi quasipunk o comunque irregolari. Per loro eravamo dei drogati con le bandiere rosse: inaccettabili – e da eliminare subito.
Credo che un sindaco di sinistra non dovrebbe andare in giro a dire che ripulirà la città; termini come decoro, legge e ordine sono troppo usurati per essere riciclati con tanta disinvoltura. Questo non vuol dire che non si debba cercare di contenere certi fenomeni (endemici delle citta’, specie se universitarie). Dico però che certe parole d’ordine, e certi atteggiamenti di sufficienza se non di disprezzo, sono sbagliati e controproducenti.
Stammi bene, e grazie del commento.