Mi scrive il mio amico Fumo che, dopo aver lungamente vissuto in Svizzera ha fatto una scelta di vita abbastanza radicale, a proposito del mio piano di spostamento. Fa una considerazione interessante, sulla quale mi piacerebbe sentire la vostra:
Ho vissuto in un paese dove intagliano diamanti, le prostitute versano l’ iva e i derivati della canapa son distribuiti a pagamento in determinati negozi. Laddove calibrato sulla tua misura trovi lo spazio per esprimerti con la meritata diffusione ma… ma non c’è la cazzimma: i giovani non devono lottare per quello che desiderano: basta che riempiano il modulo dichiarando i loro titoli nell’ apposito allegato e subito gli enti prepositi erogano il dovuto appena temperato da un modico compromesso, senza conflitto, non c’è tensione… tutti fumano il loro joint, non son discriminati per le loro scelte sessuali-estetiche-morali… nonspakkaretutto – tidiamoquellochevuoisestaitranquillo. Non c’è cazzimma. Ed è la cazzimma che ci ispira.
Questo da un certo punto di vista è indubbiamente vero: chi ha il pane spesso non ha i denti (cioè quella che Fumo chiama napoletanamente la cazzimma). La realtà che descrive è ben consolidata in molti paesi del Nord-Europa (a parte la Canapa), dove l’arte è sovvenzionata e questo a volte rende banali, prevedibili e “artistiche” le sortite creative dei locali (anche se non generalizzerei). Mentre noi, che dobbiamo arrangiarci per sopravvivere, secondo lui avremmo più mordente, più cazzimma.
Purtroppo però mi pare che in Italia non abbiamo ne’ il pane ne’ i denti. La cazzimma di cui parla Fumo personalmente non la vedo. Vedo molta noia, un output creativo non troppo diverso da quello di altri paesi (sempre senza generalizzare) e una diffusa rassegnazione alla mediocrità – condite da notevole spocchia e grande diffidenza verso le idee nuove. E, malgrado l’assenza di sovvenzioni (salvo a fare musica lirica o essere artisti morti), non mi pare di notare tensioni o conflitti particolarmente interessanti. Invece, da quello che vedo (e sento), mi pare che anche in nazioni economicamente floride ci siano creatività, curiosità e perfino un po’ di cazzimma. Mi sbaglio?
Anche se non sono molto una persona particolarmente mondana, andando un minimo in giro e ascoltando musica e gruppetti locali, cazzimma qui in Belgio non ne sento. Lo stato – in particolare il governo federale fiammingo, nella regione in cui abito- sovvenziona sale prove, concerti e molte altre attività in questo senso , ma aldilà del solito punk e metal (generi che erano piuttosto ordinari già 10 anni fa), non si va oltre da queste parti. E per quanto riguarda l’elettronica, meglio non parlarne: sembra che più è retró e scontata, più è popolare. Mi trovo abbastanza d’accordo con quanto sostiene Fumo: i giovani qui mi sembrano abbastanza coccolati (con il premio di natalità che vine elargito loro fino al termine degli studi universitari), e non devono lottare per esprimersi, anzi, tutto questo contributo statale alla cultura giovanile mi sembra un modo come un altro per tenerseli buoni. Paradossalmente, credo che se tutto questo finisse, allora forse potrebbe uscire qualcosa di buono.
Caro Sergio, quella crosta “mediocre” e diffusa che tu vedi qui e’ proprio quella che la cazzimma cerca di sfondare. Certo, non e’ facile, e i risultati sono scarsamente documentati dai – restando in tema – media. Quando l’underground e’ legalizzato, della “lotta” resta solo un eco estetico e fine a se stesso. Per carita’: se ci fosse la possibilita’ di poter esprimere le proprie cose in liberta’ sarebbe un mondo virtualmente perfetto. Ma non conquistato con la cazzimma di Fumo.
Per anni l’ho pensata come voi, e il mio lavoro lo testimonia. Però innanzitutto si possono ipotizzare situazioni intermedie, meno protettive di Svizzera o Belgio (e anche Olanda) ma non completamente assenti com’è qui, dove la selezione darwiniana della creatività è tale che per uno interessato alle forme ibride e intermedie come me, la sopravvivenza è impossibile. Penso inoltre che questo problema riguardi soprattutto i giovani, e non credo che alla mia età conti ancora così tanto.
“Per carita’: se ci fosse la possibilita’ di poter esprimere le proprie cose in liberta’ sarebbe un mondo virtualmente perfetto. Ma non conquistato con la cazzimma di Fumo.” Nella mia esperienza questa è un’utopia. Rispettabile ma non più praticabile, almeno per me. Io mi sono stufato di sperare in un mondo perfetto (e lottare per questo a colpi di cazzimma) mentre vivo in un paese dove RadioGladio si legge gratis sul web e poi ci si compra un quotidiano con dentro Alberoni, e questo è normale e va bene. Dove io non sono libero di venire nella vostra città a raccontarvi le mie idee per via di una censura strisciante ma presentissima, e anche questo va bene, che tanto si sa che certi argomenti sono difficili… Altro che cazzimma: come popolo sono proprio le palle a mancarci.
La cazzimma? La cazzimma? La cazzimma è solo una bufala che si sono inventati quelli come Fumo (massimo rispetto) per dover essere per forza contro qualcosa. Sentirsi diversi. Sentirsi migliori della maggioranza. Certo, da un lato avere la pappa pronta non è, pedagogicamente parlando, il massimo per l’evoluzione psicosociale di un popolo, ma nemmeno il dover sempre arrangiarsi per il minimo indispensabile (sia fisico che metafisico) mi sembra che possa aiutare all’evoluzione di un popolo.
Va a finire che a furia di sbattersi per ottenere qualcosa, non ci si focalizza mai sul qualcosa, ma solo sulla sbattimento in sé.
Lo stesso Fumo che si cruogiola nella sua cazzimma, alla fine, non è che un reietto (ehi, è solo una metafora, non un insulto!) della società, uno il cui operato e la cui esistenza vengono compresi ed accettati solo da alcuni eletti intellettualmente estremisti, mentre in un contesto globale la sua essenza viene vista quasi come un corpo estraneo. Mentre, e qui sta il punto, che male ci sarebbe se anche il buon Fumo faccesse parte della norma (o perlomeno dei corollari alla norma)?
Poi, possiamo stare a discutere per anni sugli stimoli provenienti da una società da cui tutto é normale, omologato, accettato… ma si tratterebbe di interpretazioni artistiche. Un po’ come dire che i belgi fanno solo musica pallosa… e i dEUS? Mi vedo già i belgi che si spanciano discutendo della nostra cazzimma e italiani-mafia-pizza-mandolino, c’hanno solo Michele Apicella e Giggggi D’alessio.
E’ un discorso da approfondire, comunque…
Caro Sergio,
come puoi immaginare ho seguito le tue riflessioni di potenziale emigrato ancor piu’ attentamente dei postaggi quotidiani che scruto su fosforo come sbirciando a distanza il diario di un vecchio amico, coinquilino di una adolescenza lontana. Mi sento di dire che la mia esperienza adulta di vita sua stata piu’ che da ogni altra cosa, dal mio recalcitrante innesto su questo alieno suolo ‘mericano, momento che ha aperto per me un dilemma identitario cui, benche’ me lo ponga quotidianamente, non conto ormai piu’ di trovare risposta.
Come e’ noto “you can never go back home” e l’irreversibile divergenza con il paese lasciato e’ forse accentuata nel mio caso (nel nostro, se posso generalizzare almeno ad un gruppo di amici dalla simile) anche dall’anomalia di una generazione disadattata, rimasta piu’ di altre orfana di certi idealismi e un modo “coerentemente irresponsabile” di concepire la ricerca esistenziale.
Queste le considerazioni generali, sono dovute altresi’ alcune considerazioni di ordine pratico. Nel mio ultimo viaggio romano ho constatato, forse anche piu’del solito, l’esistenza di un’italietta sempre piu’ in ostaggio di un potere inciucioso e arraffone, strutturato per tenerti al tuo posto e con la cresta ben abbassata, ipnotizzata da una TV di vallette e cardinali e l’incommensurabile boria di politici mediocri intervistati a ripetizione circondati da capannelli di microfoni e poratborse. Un paese dove gli editoriali dei grandi giornali sono sempre piu’ indistinguibili dalle prediche dei parrochi, popolato di benpensanti bigotti e devoti, adepti di un provincialismo sempre piu’ spiazzato e antimoderno.
Niente di nuovo, ok, ma mi ha colpito semmai la complice passivita’, l’ignavia e il medievale fatalismo di una maggioranza rassegnata di cortigiani per vocazione. Malgrado la simpatia e se vuoi “l’umanita’” di molti, perfino moltissimi, italiani risalta, e mi sembra semmai piu’ di dieci, venti, trenta anni fa, il dato di una nazione di volenterosi e paraculi sudditi in fila (dis)ordinata per il microprivilegio elargito da potenti e potentini.
Un congegno per il conformismo verso il basso, l’autocensura, l’approssimazione e l’appiattimento. Se tu partirai mi fara’ piacere perche’ so che farai bene, mi dispiacera’ perche’ rappresnt(av)i comunque uno degli esempi di cose italiane buone malgrado tutto. Mi consolera’ il fatto che la rete e’ transazionale e virtuale e il tuo avatar rimmarra’ nei miei bookmarks.
LC
Trovo questo dibattito molto stimolante perché tocca un punto centrale del rapporto artista-istituzioni.
Rapporto che non si limita a quei due soggetti, ma coinvolge politica e società.
Mi trovo pefettamente d’accordo con Giandomenico quando dice: “Va a finire che a furia di sbattersi per ottenere qualcosa, non ci si focalizza mai sul qualcosa, ma solo sulla sbattimento in sé”.
Ecco, in Italia, succede proprio questo.
I finanziamenti alla cultura, pur essendo scarsi perché i soldi non ci sono – grazie ai Ghino di Tacco, allo psiconano e suoi soci pirlusconi che hanno depredato le casse pubbliche badando ai propri affari – sono distribuiti oltre che in modo clientelare anche in modo dissennato. Si pensi a quanto viene dato al teatro lirico. Per carità, giusto finanziarlo, ma la quantità di sostegno che gli viene data è francamente esagerata anche perché serve a mantenere in piedi più le pesantissime strutture amministrative di quel teatro che non le sue produzioni.
Lavoro professionalmente nello spettacolo da decenni, ci ho pure una pensione Enpals che certifica che io artista sono, come categoria (quanto poi alla qualità della mia arte è altro discorso e non credo lascerà tracce nella Storia), e conosco bene i meccanismi di produzione che vedono sfavorita – di fatto, quindi, osteggiata – l’espressività dei nuovi linguaggi.
Mi va di precisare che sono anche contrario ad un assistenzialismo senza limiti, pure le produzioni più innovative devono anche camminare con le proprie gambe, ma da noi non ci si trova ad affrontare questo tema, bensì a negare soltanto ogni forma d’accesso, ogni percorso, ogni approdo. Salvo a dare – è avvenuto, è avvenuto – soldi a palate per associazioni sullo studio del poker. Per non dire delle tante feste a tanti santi e madonne (ce ne sono parecchi e parecchie) ben finanziate da comuni, regioni, provincie.
Da alcuni anni, poi, ci si sente dire dalle amministrazioni pubbliche: “Portami uno sponsor e io questa cosa te la faccio fare”. Ma, caro amministratore pubblico, se io avessi uno sponsor, pensi che verrei da te? Me ne andrei a farmela, quella cosa, per fatti miei. Sperando anche che, quella cosa, abbia contenuti ed energie che vadano precisamente contro i fatti tuoi.
Quello che dice Giandomenico, penso sia uno dei motivi che abbiano spinto Sergio a prendere la decisione che ha preso. E mi dispiace, non solo per quello che significa per noi tutti, ma anche perché, fatalmente, si diraderanno le già rare occasioni d’incontro mio con lui, e quando lo incontro per me è sempre una festa. Sigh!
Ma quale cazzimma?! Partiamo tutti con Sergio Messina!