FInalmente, dopo aver atteso oltre quarant’anni, ieri sera sono riuscito a vedere il film di questo doppio album, comperato nel 1976 (in Italia era rarissimo) e da allora in rotazione pesante qui in casa. Amazing Grace di Aretha Franklin è il disco di Gospel più venduto nella storia, e la dimostrazione definitiva dell’immensità di Aretha. È uno di quei dischi che se sei sensibile a questo tipo di atmosfera ti fa venire il fiatone, com’è successo a una mia studente a lezione, che durante l’ascolto di Mary don’t you weep dovette uscire dalla classe: troppo intensa. Naturalmente, come succede per certi album, il genere Gospel ha un prima e un dopo questo disco, che costituisce il modello per molto del Gospel che seguirà, e non solo.
Si sapeva che il regista Sidney Pollack aveva filmato le due session di registrazione, tenute in una chiesa battista a Los Angeles con la presenza del pubblico. Sapevo anche che (forse per l’assenza di ciak) all’epoca non erano riusciti a sincronizzare audio e video e che il progetto di uno special per la Tv era stato accantonato. Poi l’anno scorso, grazie al digitale (e ai soldi di Spike Lee), l’operazione è stata portata a compimento e il documentario è uscito (su DVD e forse su qualche piattaforma online). Qui trovate il trailer ufficiale di 2′.
Mi aspettavo moltissimo da questo film di 90 minuti: ha esaudito tutti i miei desideri e anche degli altri. Aretha è sconcertante: sembra allo stesso tempo giovanissima e antica. A tratti anche lei pare quasi stupita dal proprio talento senza fine, ride e piange senza mai perdere neanche per un istante il filo della melodia. Certo, Aretha fa i vocalizzi bellissimi, insuperabili, e qui ne fa di immortali. Però intesse anche una trama a filo lungo, le ripetizioni sono sempre variazioni, le progressioni sono perfette. E poi Aretha porta la melodia come nessuno al mondo. A differenza delle sue esibizioni profane, forse anche per via dei presenti (James Cleveland, star della scena e efficiente conduttore della serata, suo padre il Rev. C. L. Franklin, altra leggenda del Gospel, e la mitologica Clara Ward quasi lì a passarle il testimone) o del fatto che siamo in chiesa, lei sembra timida, contenuta, e quando canta usa pochissimo il corpo, creando una dinamica mozzafiato tra la persona che vedi, che pare quasi una ragazzina, e quello che le senti cantare. Il coro, che dal disco già sembrava favoloso, nel film diventa protagonista. Non solo vocalmente: uno dei mille modi di guardare questo documentario è di osservare le reazioni alla performance stellare di Aretha: il pubblico si scorda le telecamere e va in trance; il reverendo James Cleveland scoppia a piangere durante Amazing Grace e deve essere sostituito al pianoforte, Clara Ward, vecchissima in prima fila, che zompa in piedi e alza le braccia al cielo. E il coro, le cui facce estasiate, tramortite, piangenti, esilarate fanno da contrappunto a tutto il film. Ultimi ma non ultimi Charlie Watts e Mick Jagger tra il pubblico, discretissimo il primo, forse troppo esuberante il secondo. Tutti consapevoli che stanno assistendo a un evento non ordinario.
Alla band di Cleveland e al Southern California Community Choir si affiancano i fidi musicisti di Aretha nel 1972: Chuck Rainey al basso, Cornell Dupree alla chitarra e Bernard Purdie alla batteria, cioè una combinazione micidiale di discrezione, pompaggio e groove letali. Già sul disco regalano mille meraviglie, ma vederli assassinare la platea in giacca e cravatta (siamo in chiesa, molte delle signore sfoggiano i Church Hat, sontuosi cappelli della domenica) dietro a Aretha è il bene assoluto. Le canzoni importanti ci sono tutte: si comincia dalla profana Wholy Holy di Marvin Gaye (micidiale, col coro in gran spolvero), e pian pianino si va tutti in paradiso.
PS: Il mio amico Luca mi ricorda giustamente il direttore del coro. Ma c’è un’altra dimenticanza: se lo guardate, osservate attentamente come battono le mani a tempo lei, il coro e il pubblico: mai ovvi (ovviamente non sull’1 come gli europei) e sempre organici al ritmo.
Benvenuto fra noi fratello, d’altronde era cosmicamente insostenibile che tu non avessi ancora visto questo gioiello trascendentale. Hi perso con infinito rammarico la proiezione celebrativa alla New Temple Missionary Baptist su South Broadway, ma alla precedente prima di LA la prima fila era riservata alle church ladies salite per l’occasione a nord della Santa Monica Freeway con tutti i cappelli in un meraviglioso scuolabus di proprietà della parrocchia. Unica dimenticanza nella tua nota: l’immenso Alexander Hamilton, conduttore del coro che al pischello Jagger in ultima fila in due ore ha concentrato un PhD in stagecraft.