Insegnare a distanza ha avuto un risvolto che mi ha fatto molto pensare. Ho sempre saputo che nell’insegnamento c’è uno scambio, che io fornisco delle nozioni, delle idee e dei concetti agli studenti, e ricevo qualcosa in cambio oltre alla mia paga. Alcune cose sono evidenti: sono nati nel 2000, hanno gusti, idee e una visione della vita diversissime dalle mie, quindi scopro nuova musica, nuove culture pop e sguardi che non conoscevo. E dato che a volte imparano da me cose che non sapevano ma che li interessano (per mille ragioni), loro ricambiano con link, nomi di band, titoli di serie Tv o di Graphic novel, e via dicendo. Talvolta con degli studenti c’è una comunicazione più personale, basata su una stima acquisita in ambito didattico. Questo non solo mi pare una cosa bella, ma ovviamente funziona a due vie: fa piacere a loro, fa piacere a me.
C’è però un altro aspetto che non avevo considerato, cioè quello del corpo. Chi è stato mio studente sa che insegno in piedi, senza microfono, a volte camminando. Che mi capita di rivolgermi a uno studente o a un gruppo, e dialogare direttamente (a volte anche scherzandoci); che mi piace utilizzare lo spazio fisico e la struttura della lezione anche come momento “teatrale”, dove si mette in scena della cultura. Senza esagerare, ma senza mai dimenticare che la differenza tra “classe” e “pubblico” non è poi così enorme (per esempio le tecniche per tenere l’attenzione).
In questa dinamica il contributo degli studenti è determinante, come in qualsiasi spettacolo teatrale nel quale ci si rivolge direttamente al pubblico. L’energia è sempre un flusso a due sensi, e quello che esce, se esce come si deve, ritorna subito. Uno dei grandi previlegi del mio lavoro è di vedere ogni tanto una lampadina che si accende sulla faccia di un* studente. Ecco: tutto questo insegnando a distanza si perde. O meglio, qualcosina resta: i commenti nella chat, qualche timida domanda (a volte col microfono, quasi mai con la webcam accesa), alcune email con richiesta di informazioni supplementari, ma il grosso si perde. E mi manca molto. Perché se da un lato a loro comunque arrivano tutte le nozioni, le idee e i concetti, di qua manca un pezzo – e parlare da soli per tre ore non è nemmeno remotamente comparabile a farlo tutti insieme.