Al momento c’è una intensa conversazione globale sul passato, sui suoi simboli e oggetti culturali e sull’opportunità di cancellarli. Siccome è un tema che mi appassiona, volevo fare un distinguo. Un film, un libro, uno spettacolo teatrale sono narrazioni di un’epoca, spesso fatte nella stessa epoca. Perfino nelle sue incarnazioni più odiose, un libro è la testimonianza di un tempo passato, e ci serve anche a sapere quanta strada abbiamo fatto nel frattempo. Piuttosto che proibire Via Col Vento, io mi batto (mi sono battuto, mi batterò) perché cambi la nostra sensibilità, e quando si guarda quel film non si possa non notarne il profondo razzismo. Per lo stesso motivo sono contrario alla distruzione del Mein Kampf, La Capanna dello Zio Tom o The Birth of a Nation. Se non cambia il nostro sentire possiamo proibire tutto, ma queste idee torneranno.
Sui monumenti la penso diversamente. Un monumento infatti non è un oggetto culturale, bensì la “Testimonianza concreta e durevole di esaltazione, a onore o a ricordo di persone o di fatti, per lo più rappresentata da un’opera di scultura o di architettura”. Quindi mi pare giusto abbattere i monumenti che rappresentano persone o eventi odiosi. Perché mentre un monumento esalta qualcuno, umilia degli altri e non ammette repliche (salvo a dipingerlo di rosa), sulla pratica di comperare mogli (vergini garantite) da parte dell’esercito coloniale italiano in Africa si può scrivere un bel libro. Contestualizzandolo storicamente, intervistando le donne superstiti, e perfino andando a sentire l’opinione di chi è favorevole al commercio di esseri umani: l’infamia ha un suo fascino dark, nei libri.
Naturalmente questo ragionamento ha un limite, e secondo me questo limite sta nella memoria: mentre c’è ancora chi soffre quando passa davanti all’obelisco MVSSOLINI al Foro Italico di Roma (magari perché suo nonno è stato torturato dai fascisti), o davanti al monumento a Montanelli di Milano (perché sua nonna è stata venduta a un soldato italiano), non ho mai sentito di inglesi che di fronte all’effige di Giulio Cesare abbiano sentito vivo il dolore per le ben due spedizioni in Britannia.