Ho un curioso ricordo di Ennio Morricone, forse in parte falsato da altri ricordi e sensazioni personali. Ovviamente la sua musica fa parte del mio paesaggio sonoro da sempre, un soundscape fatto perlopiù di cinema e televisione. All’inizio ero molto colpito dall’uso di rumori e strumenti non convenzionali, che davano alla sua musica una qualità speciale, quasi da cartone animato (un buon esempio è il Tema di Juan, contrapposto al popolarissimo Tema di Sean, dal film Giù la testa). Ma c’era dell’altro: la sua musica sembrava scritta senza pensare, e aveva un fluire talmente naturale da apparire, almeno a me, inevitabile.
Ho incontrato il Maestro a metà degli anni ’80, quando era già celebrato ma non ancora santificato. L’occasione fu la presentazione, al festival Time Zones di Bari, di The Big Gundown, l’omaggio di John Zorn a Morricone. C’era Zorn, emozionatissimo, e a un certo punto arrivò Ennio. Forse era di malumore, ma la mia impressione fu molto netta e precisa, e poi confermata da diverse interviste lette e viste. Morricone fino a quel momento aveva avuto una relazione molto complicata con la propria musica da film. La considerava musica d’uso e non gli attribuiva una particolare qualità compositiva. Ne capiva benissimo l’efficacia (anche in termini di resa economica: Sean Sean andò in classifica negli USA), probabilmente si divertiva a strumentarla, aveva sicuramente affinato nel tempo certe tecniche di scrittura per immagini (che oggi sono diventate lo standard), ma non si aveva l’impressione che scrivere quella musica fosse il suo passatempo preferito, che ci fosse dell’investimento emotivo o personale (o che fosse particolarmente colpito dagli omaggi). Tant’è che pure in quella occasione non mancò di ricordare il proprio repertorio di musica contemporanea e il suo lavoro con Nuova Consonanza: la sua musica “seria”.
Composizioni scritte per un pubblico diverso, con uno scopo diverso e, ma questa è una mia speculazione, con una parte diversa del cervello. La mia impressione infatti è che le sue più belle colonne sonore siano state prodotte da uno che pensa di scrivere cose facili, dove le soluzioni melodiche sono simmetriche e conseguenti, le armonie a volte ardite ma sempre organiche, il tutto fatto per essere compreso e apprezzato da un pubblico vasto. Il Tema di Sean, nella sua meravigliosa coerenza e presenza filmica, non sembra pensato per piacere alla critica, o a quella scena musicale contemporanea della quale il Maestro pure faceva parte. Insomma, non sembrava musica scritta per sedurre Ennio Morricone, che preferiva (e che suonava) tutt’altro. L’album Controfase è un ottimo esempio: pubblicato nel ’73, due anni dopo Giù la testa, non ci somiglia nemmeno vagamente.
Poi a un certo punto è cambiato qualcosa. Forse è invecchiato, magari a furia di sentirsi dare del genio (certamente non una esagerazione nel suo caso) ha capito, o ha ceduto all’universo mondo che continuava a osannarlo. Fattostà che da un certo momento in poi il Maestro pare aver fatto pace con la sua immensa grandezza. Personalmente non sono un fan delle sue cose tarde. Continuo a preferire il primo Morricone, che non si piaceva ma sicuramente si divertiva e guadagnava, producendo un repertorio immenso di musica strepitosa, apparentemente generata (di nuovo, questa è la mia fantasia) in automatico, semplificata all’origine, senza alcuna velleità di capolavoro, fatta perché serviva, e solo incidentalmente sublime.