Nei giorni scorsi è scomparso Jon Hassell, il cui suono mi accompagna da quasi 40 anni. Per me è un po’ come perdere un parente, che pure se era anziano (lui ne aveva 84) è comunque un dolore. Di Hassell ho scritto brevemente sulla mia pagina nel prossimo numero di Rumore. Oggi mi è tornato in mente un episodio buffo, che descrive il tipo di rapporto che ho con la sua musica. Nel 2009, durante un viaggio a Los Angeles, faccio un pellegrinaggio al negozio di dischi Amoeba insieme al mio amico Luca Celada (di cui ero ospite). Dopo aver pettinato molti metri di scaffali (il negozio è immenso), vado al banco, chiedo dove tenessero i dischi di Jon Hassell e il commesso mi indica lo scaffale “New Age”. Con un certo disappunto gli ho spiegato che il lavoro di Hassell è sì trasversale, ma metterlo in mezzo alla New Age (musica per Yoga, Pilates, ecc) mi sembrava offensivo. Io l’ho detto scherzando, ma devo essermi espresso male. Finisco il giro, pago i miei CD e faccio per uscire quando un tizio, forse il manager del negozio, mi ferma e mi chiede: “Excuse me, are you Jon Hassell”?