Ma tu guarda chi mi tocca difendere. Ho sempre trovato Gabriele Paolini un buffo rompicoglioni, simpatico solo perché rompeva le scatole a gente che le rompeva a me. Certo, uno costretto a strillare “Il Papa è gay” nel microfono di un inviato tv non è un granché, ma il panorama mediatico italiano è così desolante che Paolini spiccava almeno per baldanza.
Adesso l’hanno condannato a tre mesi di reclusione per interruzione e turbativa di pubblico servizio; “Paolini dovra’ anche risarcire la Rai, costituita parte civile.” Lo dice l’Ansa: “Quel disturbo costrinse la giornalista e gli operatori a ridurre la durata del servizio e a cambiare piu’ volte le modalita’ di ripresa.” Non mi pare un gran reato. Questa sentenza però afferma un principio: non si può intralciare il lavoro di un operatore televisivo.
Quello di Paolini è però un caso isolato, non frequente. Comunissimo invece è l’esatto contrario: operatori e giornalisti che si comportano come teppa, provocando e inseguendo gente qualsiasi (magari colpevole, ma chi è Striscia per condannarli?) al grido di “diritto di cronaca”, violando molti altri diritti in maniera odiosa e rompendo le scatole per la stessa ragione di Paolini: fare audience. Con gli stessi esiti: interruzione e turbativa della vita altrui. Con la differenza che Paolini lo tagliano, mentre le vittime del Tg4 vanno regolarmente in onda. C’è un giudice lì fuori che ci libererà di Lucignolo, o saranno sempre i poveracci – anche di spirito come Paolini – a pagare?
Paolini è un noto attore porno gay estremo. Fino a poco fa aveva un sito internet dove mostrava sua foto in cui faceva sesso con uomini, mangiava merda e beveva sperma, si ficcava oggetti come cacciaviti nel sedere e così via.