Faccio un giro su Facebook. Devo dire che ultimamente è sempre più irritante. Sarà per via del referendum (che sta tirando fuori il peggio di noi), ma FB mi pare sempre più una piattaforma che esalta la mediocrità, rendendo persone normalmente simpatiche delle zie insopportabili. Il banale vince sempre (e prende più Mi Piace): moralismo d’accatto, saccenza che levati e, in certi casi, l’evidente tentativo di riempire un qualche buco emotivo, pubblicando pensierini senza sosta. Però oggi su Facebook scopro che Richard Benson non sta bene.
Ho conosciuto Richard nel 1975, io avevo 16 anni, lui (forse) 21. Frequentava, come un sacco di altra gente, gli studi (un appartamento di due stanze a Monte Mario) di Radio Roma 103, dove io trasmettevo ogni giorno una buona oretta di musica “Rock” (da Chick Corea ai King Crimson, fino ai Gentle Giant, passando per Genesis, Bowie e Mahavishnu Orchestra – insomma molto eclettica; all’alba della radiofonia privata, tutto era molto informale). Naturalmente sapevo benissimo chi fosse Benson: era piuttosto popolare sulla scena romana, avendo suonato per ben due volte (’72 e ’74) al Festival Pop di Villa Pamphili, e essendo stato conduttore di un programma Pop a Radio Rai. Ma il vero motivo per cui era notissimo a Roma era il suo abbigliamento: platform shoes, completi di pelle, capelli Glam, fondotinta e rossetto, occhialoni da sole – straight outta Bowie & Reed, però alla Garbatella. All’epoca non c’era NESSUNO così a Roma, una città che se ti trova strano sente subito il bisogno di fartelo notare. Naturalmente apprezzava la musica che suonavo, e ogni tanto commentava in diretta insieme a me. Iniziammo a frequentarci, a chiacchierare. Lui era molto più grande, e perfino inglese, il primo che incontravo, quindi credo di avergli fatto mille domande: Londra, per me, all’epoca era come Marte – irraggiungibile. Ma già allora come oggi, Benson era imperscrutabile: da dove veniva? Come campava? Che diavolo ci faceva a Roma? Perfino allora, innanzitutto era un soggetto misterioso.
Andare in giro con Richard Benson significava essere costantemente al centro dell’attenzione, nel bene ma più spesso nel male. In qualche modo direi che gli piaceva: non solo ha tenuto duro per quarant’anni, ma in qualche modo ha conquistato quella pesantezza, cavalcandola e rendendola il suo brand (o forse rimanendoci sotto, non lo so dire). Negli anni ho sempre seguito con affetto il suo non semplicissimo tragitto, e mi spiace sentire che il Rock’n’roll lifestyle gli stia presentando il conto. Se avete voglia di dargli una mano e siete a Roma, andate all’evento benefit organizzato l’8 dicembre. Dalla stessa pagine potete anche fargli una donazione via PayPal. Perfino se gli avete riso dietro anche solo una volta (e lui certamente ci ha messo del suo): se oggi l’Italia è un po’ meno provinciale di allora, un piccolissimo contributo l’ha dato anche lui.