Uno degli aspetti a mio parere più fastidiosi della rivoluzione digitale è l’idea che ormai siamo in controllo di tutto, interagiamo, clicchiamo, e che nessuna attività umana debba rimanere senza opzioni. Un esempio sono i molti esperimenti (che continuano ancora oggi) di narrativa digitale con finale multiplo, dove (nelle versioni primitive che ho visto) gli spettatori potevano optare per un finale o per un altro, e la maggioranza determinava l’esito del film. Terribile: preferisco di gran lunga un finale che a me non piace (e dal quale posso dissentire) a uno scelto dalla maggioranza. Perché quel meccanismo sposta, in positivo e in negativo, la responsabilità dall’autore al pubblico, che “decide” quello che preferisce – e me lo impone.
E chi l’ha detto che quello che preferisce la maggioranza sia meglio? In molti casi direi proprio di no, dalla salita al potere di Hitler, in un plebiscito di voti, all’inspiegabile, enorme successo di certi libri, ho molti esempi di maggioranze che scelgono male. Certo: è la democrazia – che però non credo vada applicata anche alla creatività: se ognuno dipingesse il proprio Van Gogh sarebbe un disastro, no?
Oggi molti di noi frequentano i social media, un luogo dove la maggioranza (mediata dall’algoritmo) detta il menù della giornata: i tending topic su Twitter, o l’ordine di comparsa dei post su Facebook, sono determinati (anche)* dal comportamento della maggioranza (oltre che dal nostro)*: quanti retweet, repost, commenti, mi piace, ecc. Questo naturalmente ci rende tutti un po’ zoccole: si cerca di pubblicare contenuti che attraggano questo tipo di interazione, e tante condivisioni sono – a volte – una micro-soddisfazione. Oppure c’è l’altra opzione: pubblicare contenuti controversi, e scatenare l’inferno. L’algoritmo non distingue se una condivisione è di adesione o di derisione, ed è così che certi famosetti si tengono in vita sui social media: più la sparo grossa (assurda, delirante, estrema, odiosa), più traffico si produce.
Ecco: confesso che questo inizia a starmi un filino stretto, proprio anche come modalità di espressione. Non pubblico gatti, non tifo il pallone, non commento cani morti, non guardo Crozza. Esprimo delle opinioni frequentemente oblique, a volte lievemente controverse, talvolta controcorrente. Idee magari buone ma sottili, interstiziali, spesso con un finale malvagio, che a volte non accontenta nessuno. Le esprimo qui, e le condivido su Facebook (non ho Twitter perché la prima persona che me ne ha parlato mi ha detto: “Per te sarebbe perfetto”, e mi ha dissuaso a vita). Non so dire quanto durerà però: non guardo gatti, non leggo il pallone, non condivido animali morti, non commento Crozza, e non mi sento completamente a mio agio.
*Aggiunto dopo un commento (preciso e corretto) ricevuto su Facebook: le gioie del digitale.