Intorno al tema dell’immigrazione, sul quale ognuno (da Salvini in su) ha diritto alla propria opinione, c’è una questione che mi spezza il cuore, che magari a qualcuno sembrerà secondaria ma che a me pare centrale. Come sapete esistono due generi di stranieri presenti in Europa. Ci sono i rifugiati, quelli che scappano da guerre o persecuzioni etniche, e gli immigrati “economici”, cioè persone che cercano un destino diverso, con maggiori possibilità (economiche, sociali, ecc.) per se e per la propria famiglia. Le regole europee (e non solo) fanno una distinzione assai rigida tra queste due categorie. Come dargli torto? È chiaro che se scappi da un genocidio hai molta fretta di andartene, e vuoi la certezza di non dover tornare mai più indietro.
Io però sono assai dispiaciuto per gli altri, quelli che scappano da un destino senza futuro, da zone ecologicamente disastrate, economicamente allo stadio terminale. O da società impossibili, integraliste, dove essere donne, omosessuali o in qualche modo diversi è causa di discriminazione. O perfino anche solo da paesi dove certa musica è proibita: chi vorrebbe fare dei figli in un posto del genere?
Naturalmente rifugiati e profughi devono avere la precedenza. Però il mio cuore sta dalla parte di quei ragazzi che partono a piedi dall’Africa, e dopo due anni di viaggio arrivano qui. Dimostrando una quantità di motivazione che ho visto molto raramente nei giovani italiani. Persone che che cercano disperatamente una possibilità, e alle quali noi rispondiamo: “Sorry, il tuo paese non è in guerra, tu non appartieni a una minoranza perseguitata, adesso vattene.” Stupido (questi sono i migliori europei che riesco a immaginare), infame e agghiacciante. È l’esito di un pensare politicamente suicida (il sistema pensionistico italiano starà in piedi solo se ci saranno degli immigrati che pagano i contributi, per esempio), moralmente infimo e socialmente miope – ma in Europa adesso apparentemente maggioritario.