Sono tornato single, ormai da più di due anni. Non è la prima volta che mi capita, anzi: se faccio il conto, nella vita sono stato molto più single che altro. Con single intendo dire “non in una relazione stabile e pubblica”. Ogni volta che torno a esserlo mi ricapita di osservare il comportamento della società nei confronti di questa categoria.
Per i supermercati siamo oro: confezioni singole come se piovessero, a prezzi ben sostenuti. Come se uno/a non potesse mangiare per tre volte la stessa cosa, o non fosse in grado di pesare dei tortellini o lavare l’insalata. Inoltre, in alcuni supermercati più chic (nella loro testa), la monoporzione è sempre di piatti in qualche modo ricercati, col salmone o la quinoa. Poveretti, già siamo single, almeno ci rallegriamo mangiando – che sennò la quinoa chi ce la cucina?
In molti casi essere single è considerata una condizione brutta, da emendare al più presto. In America qualsiasi serata/bar/club/iniziativa che abbia nel nome la parola single, serve per farli incontrare e accoppiare, cioè guarirli da questa brutta malattia. Essere soli ma felici non è una possibilità. A volte anche per gli amici, che si preoccupano, e qualcuno si arrovella pure per trovarti una moglie. E se gli spieghi che tu non cerchi, che se succede va benissimo ma non passi la vita a cercare l’anima gemella, fanno fatica e si intristiscono un po’.
C’è poi una odiosa questione di genere, purtroppo dura a morire. Se sei un single maschio molto maturo come me, sei un “eterno scapolo”, uno sciupafemmine a vita, un godereccio, e già non è bello. Ma se sei donna invece sei una vittima, una che non ha trovato, che forse non hanno voluto. Magari non più una zitella, l’orrenda parola che si usava quand’ero bambino, ma quasi. Terribile.
Insomma: voi avete trovato la felicità (o qualsiasi cosa chiamiate con questo nome) nella vita di coppia. Sono felice per voi. A patto che anche voi siate felici per noi, che stiamo benissimo con qualcuno – ma pure da soli.