Nella feroce polarizzazione pro e contro Matteo Salvini, tra i miei contatti sui social media è stata fatta circolare l’immagine di un politico italiano del passato, portandolo a esempio di stile e capacità di interpretare un ruolo.
La foto (di Vezio Sabatini, 1972, da Il Giornale) è questa: Aldo Moro in spiaggia con la figlia Agnese: “Papà, gli chiedevo, perché ti conci sempre così? – racconta Agnese. E lui mi rispondeva che, siccome era un rappresentate del popolo italiano, doveva essere sempre dignitoso e presentabile”. Il tono dei commenti tra i miei amici ve l’immaginate: ecco lo stile, il ruolo, la dignità! Salvini invece: in felpa, in mutande, in discoteca!” E in molti, a commento, mettono l’immagine che vedete qui sotto: il Ministro degli Interni che balla con una cubista.
Io c’ero nel 1972 (e seguenti), e quello stile me lo ricordo benissimo. Uno stile talvolta immensamente ambiguo: politici sempre impeccabili, in spiaggia come al Parlamento, molto compresi nel proprio ruolo. Che però purtroppo era quello di comandare senza chiedere, di inquinare le dinamiche politiche anche illecitamente (un esempio su tutti l’Operazione Gladio) pur di tenersi le poltrone a vita, di disprezzare profondamente il popolo italiano. Moro in particolare era capace di parlare in pubblico per ore, lanciando messaggi criptati ai suoi avversari, senza mai nominarli e senza farsi capire dagli altri. Sfoggiando una forma di eloquio fantastica: architetture sintattiche mirabolanti, vocabolario sfavillante ma significato zero. Quella generazione di governanti ha reso l’Italia un paese sciagurato, malandrino e egoista, rendendone l’atmosfera tossica e irrespirabile, e portandolo sul ciglio del baratro – morale e materiale. Però sempre col bottone della giacca allacciato.
Oggi invece abbiamo Salvini, su cui si possono dire molte cose negative, uno sport che ho praticato in passato e che praticherò con ardore in futuro. Però alcune delle obiezioni (dei miei amici, quindi miei simili) mi sembrano assurde. “Governa in felpa”: la felpa è uno dei miei capi d’abbigliamento preferiti (magari sulle mie non c’è scritto CAZZAGO a caratteri cubitali), e mi fa davvero molto piacere che si stia superando l’idea che la giacca e la cravatta (che pure occasionalmente sfoggio) siano l’unica forma di abbigliamento possibile. Non solo: quando vedo dei politici in tv, italiani e stranieri, non posso fare a meno di notare che, nella quasi totalità dei casi, hanno abiti orrendi e cravatte immonde (male annodate). Quindi viva la felpa. Se poi proprio vi dà fastidio potete protestare andando al mare in grisaglia, come Moro: la stagione è propizia.
“Salvini va in discoteca”. Durante gli anni della dittatura democristiana, in varie salse ma sempre identica, l’idea che un ministro andasse in discoteca era assolutamente lunare: ci andavano i loro figli, talvolta facendo sfracelli, qualcuno anche aggiustato in corsa dalle forze dell’ordine. Poi sono arrivati gli anni ’80, e ci è toccato vedere Gianni De Michelis roteare giocondo. Non un bello spettacolo, e non ricordo nessuno dei miei amici all’epoca sentirlo più vicino per questa sua propensione a far dondolare l’addome prominente. Infine è arrivata la seconda repubblica, e si sono rotti gli argini: canotte, costumoni, ciambelle, sagre padane, materassini, nudismo, mignotte travestite da Mandrake. Salvini, che è figlio di quella cultura politica, in fondo mi pare perfino morigerato: va in vacanza a Milano Marittima, scrocca un giro in moto d’acqua per il figlio (un peccato davvero veniale), poi va al Papeete dove fa il tamarro senza maglietta. In un luogo nel quale il dress code è evidentemente: “Tamarro Senza Maglietta”. Non ci doveva andare? E perché? Forse era più chic se andava al Berghain? Oppure doveva andare al Papeete vestito come Moro? Suvvia, miei cari amici, potete fare meglio di così.