C’è un aspetto della pandemia che mi colpisce molto fin dall’inizio. È ovvio che nessuno di noi, da me a Mattarella, aveva mai avuto a che fare con una epidemia globale, e che ci fa paura. Al netto di negazionisti, nomask, e politici furbi che vorrebbero i loro voti, la gran parte della popolazione si è giustamente affidata alle indicazioni del governo e del CTS: mascherine, distanziamento, lockdown.
Quello che non capisco è l’atteggiamento con cui la gente (in gran parte) interpreta le regole, che segue come me quando avevo 7 anni. Per esempio alla seconda ondata: i casi aumentano, la situazione è preoccupante, il governo dichiara il “coprifuoco” per un certo giorno, e la sera prima i locali sono pieni: “Eh, ci facciamo l’ultima serata, stasera si può”. Il buonsenso è totalmente uscito di scena, sostituito dal seguire le regole pedissequamente senza farsi domande: “Il lockdown è domani, no? Quindi oggi si può brindare con gli amici”. Senza pensare che il lockdown c’è perché il contagio aumenta, ma interpretando le scadenze come se fossero semafori: “Era giallo, mica rosso”. Senza guardare i numeri, ma leggendo con attenzione i DPCM, per capire fin dove possono spingersi. Forse sono io che sono strano, ma a me quello che dice Conte interessa molto meno dei dati, e di quello che dice il CTS. Perché nessuno di noi ha gli strumenti (psicologici, oltre che materiali) per affrontare una pandemia, ma spegnere il buonsenso e comportarsi da ragazzini mi pare la peggiore delle reazioni.