Vorrei fare una riflessione da pre-boomer, come se fossi nato negli anni ’30. È un pensiero che faccio da anni, ogni tanto lo dico ma adesso ho voglia di scriverlo. Fino alla mia prima giovinezza c’era una regola culturale abbastanza rigida: le cose belle (interessanti, sublimi, attraenti) erano quelle belle, e quelle brutte erano brutte. Una regola antipatica, elitaria ma efficace. Poi negli anni ’80 è successo qualcosa: l’edonismo? il Post-modernismo? Il riflusso? Non saprei. Però in quegli anni nasce un’idea nuova, sfaccettata e a tratti interessante: anche nel brutto c’è del bello, e nel Trash talvolta alberga il sublime. Mi pare un’idea degna, per molti versi vera (per esempio nella musica) ma entro certi limiti – almeno per me. L’idea che qualsiasi film sciatto, recitato da cani e girato da dilettanti diventi bello se lo osservo con uno sguardo obliquo e post-moderno per me ha avuto le gambe molto corte. Quindi non ho avuto il piacere di riscoprire Massimo Boldi, non ho partecipato all’esaltazione di Bombolo e Cannavale e i film con Tomas Milian mi sembrano tutti, senza distinzioni, una cagata pazzesca (cit). Ecco.
Negli anni questa estetica ovviamente ha trionfato, con risultati a volte irritanti come la riscoperta di Orietta Berti (micidiale benché intonata, oggi come ieri) o la passione verace per Sanremo (che negli anni ’80 stava morendo di sonno, per essere ripescato dai Trashisti). Il campione mondiale di questa specialità tutta italiana ovviamente è Fazio, che resuscita Marzullo, Baglioni e prossimamente forse anche Kim Jong. Ma questo fungo culturale purtroppo prospera, una dermatite della contemporaneità che ovviamente mi scatena lo snobismo. Altro che Totti: facciamo una bella serie sulla vita sublime, miracolosa e ricca di implicazioni future di Buckminster Fuller. Buckminster chi? Ecco.
Ecco. Un “ecco” di esortazione ma anche di rassegnazione. Non solo quello lì ha riproposto Baglioni e i Cugini di Campagna (“anche nel brutto c’è del bello”? Ma dai, non scherziamo. Non è mai stato vero) come fossero i sublimi esponenti di chissà quale geniale corrente artistica dimenticata, ma la cosa in cui riesce meglio è il grattare il fondo del barile della nostalgia – che non ha fondo, evidentemente -, fatto che gli darà ininterrotta attività sulle reti Rai per i prossimi 350 anni (quando proporrà la nostalgia dei precedenti 50/100 anni). Questa TV è tossica, quell’uomo dall’aspetto bonario lo è altrettanto. Non si potrebbe proporre l’adesso e il futuro prossimo (ma non riguardo al minestrone covid, troppo facile)? No, non si può. Nessuno ha nostalgia del futuro. Io si. Ma in Italia anche parlare di Fuller potrebbe apparire un’operazione d’avanguardia.
“Ma entro certi limiti”. Eh. Quali?
Beh, la Disco music, la musica Country, certe cose di Italo disco – alcune cose che si erano perse nella configurazione precedente. Ma appunto entro certi limiti.