Giusto ieri parlavo coi miei studenti di come avrei reagito io alla pandemia se avessi avuto vent’anni. Sicuramente la convivenza familiare forzata avrebbe creato qualche problema. Ma quello principale sarebbe stato l’assenza di socialità, che per me a quell’età era molto importante: la radio, i club, i concerti e via dicendo. Poi ovviamente avrei patito la deprivazione interpresonale, l’assenza degli amici più stretti, il cazzeggio infinito. Oggi ovviamente esiste il cazzeggio digitale, ma non credo che funzioni altrettanto bene. Avrei aspettato la fine del lockdown con ansia, e celebrato con furore la fine del panico, se e quando ci sarà.
Quello che sicuramente non avrei fatto è di cercare di valutare se avessi avuto un danno, se un anno di isolamento non avesse lasciato degli strascichi psicologici, mentali, comportamentali, ecc. Un po’ perché io sono io, ma c’entra anche l’età. Leggevo che l’effetto sui bambini è e sarà molto diverso: probabilmente invisibile all’inizio (essendo il lockdown diventato la loro “normalità”) ma forse più severo nel tempo. Credo che per i ventenni valga la stessa regola anche se in misura minore: loro sanno bene com’era prima e hanno, legittimamente, molta fretta di ritrovare una qualche forma di normalità.
Ovviamente per molti sarà un processo più lineare, ma credo che per più di qualcuno questo anno passato nella paura possa aver creato qualche disagio persistente, non solo tra i giovani. E mi auguro che la società sappia trovare degli strumenti efficaci per affrontare qualsiasi problema di questo genere. Naturalmente navighiamo tutti in acque ignote e nessuno sa come muoversi, ma sarebbe bello che nel concetto di Recovery non ci fosse soltanto l’economia.