1963 – 1969

Ci sono diverse fasi d’oro della storia della cultura Pop: congiunzioni perfette che creano grandi accelerazioni. Probabilmente il periodo più denso finora è stato quello che va dal ’63 al ’69. Più ne so (allora ero bambino), più ne capisco la persistente importanza, in zone anche molto distanti dalla cultura Pop – da Papa Francesco all’Ecologia, da Matteo Renzi al Telethon, da Gaga a King Krule: senza quei sei anni, oggi sarebbe tutto diverso.

1963: Dylan pubblica Blowin’ in the wind, dove dice di sentire nel vento qualcosa che cambia. Cosa? Quasi tutto. I giovani, fino a quel momento Ribelli senza causa (titolo originale di Gioventù Bruciata, ’55), di cause iniziano a trovarne a iosa: la guerra fredda, il senso di fine imminente causato dalla bomba atomica, quella calda del Vietnam (che scoppia nel ’65), il razzismo (la segregazione negli USA è abolita nel ’60) e l’ingiustizia in generale: verso i giovani, le donne (che da questo periodo elaborano concetti oggi diventati universali) il sud del mondo, i poveri, i lavoratori – insomma quelli che, cinquant’anni dopo, la generazione di Occupy ha chiamato il 99%. La protesta non si esprime soltanto attraverso l’attivismo. Lo stile gioca un ruolo decisivo: i maschi si fanno crescere i capelli, e le ragazze indossano i jeans. Questo sposta il campo di battaglia dal politico al personale, creando fratture nelle famiglie, a scuola e nella vita sociale. Ecco cosa scrive il Corriere della Sera nel ’65: “I capelloni si lamentano. Dicono che non danno noia a nessuno e che stanno lì, sulla scalinata di Piazza di Spagna (ritrovo dei ragazzi all’epoca, ndr), perché é bello e gli piace. Non é una buona ragione. Essi sono brutti  e non piacciono a noi.” Capito? Per far incazzare di brutto bastava lo stile. Un meccanismo poi diventato fisso nelle culture pop, dal Punk all’Hip hop (stile tutt’ora spesso deplorato nei media), ma purtroppo sempre meno efficace. Quando il suono della musica si inasprisce, elettrificandosi prima e poi diventando distorto, si tratta di una rivolta sonica: nel ’65 Dylan fu odiatissimo dai fan del Folk per essere diventato “Rock”; gli Who per gli adulti erano inascoltabili, per via della distorsione. In Italia, i nuovi cantanti vennero definiti “Urlatori”, espressione che ovviamente contiene una punta di disprezzo. E’ la madre di tutte le battaglie sonore della cultura Pop, dal Metal al Noise, dalla Techno al Grunge.

Nella seconda metà dei ’60 i sentieri iniziano a separarsi radicalmente: sarà l’effetto dell’LSD (che diviene illegale solo nel ’66. Prima lo provano a milioni, incluso Fellini nel ’64), sarà il suono distorto di Hendrix, ma sempre più giovani sembrano sempre meno disposti ad adeguarsi. Se ne accorge perfino la Rai; nel ’66 lancia il programma radio Per voi giovani, che ha avuto grandi pregi (come trasmettere musica eccellente con uno stile innovativo) e un difetto ingenuo e rivelatore: il nome, che spiega bene chi è voi e chi noi. Ma queste contromisure funzionano solo in parte: non solo i giovani scoprono la politica e scoppia il ’68 (un po’ ovunque nel mondo), ma gli hippie vanno in India (all’inizio appresso ai Beatles, nel ’67) o ai festival (tipo Woodstock, che è quasi un esperimento di società dei giovani). Nascono la Contro-cultura, che sarà uno dei propellenti essenziali nella creazione della rete Internet, e la Stampa musicale, che alla lunga influenzerà tutta l’altra. Si fa strada anche una nuova coscienza del mondo, più globale, che oggi è quella dominante: dall’ecologia e la multi-culturalità fino ai cibi alternativi, il bio, e via dicendo.

Il finale è noto: malgrado le richieste dei giovani, nell’immediato nulla sembra cambiare, e il senso di sconfitta è acuto. In Italia gli anni ’60 si chiudono bruscamente con la strage di Piazza Fontana (dicembre ’69), che uccide anche molte speranze, oltre a 17 persone. Alla lunga però quei sei anni hanno vinto, e oggi si ritrovano ovunque. Potenza della cultura Pop, che pare facile, e invece.

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