Acqua in bocca

Duole dirlo, ma ogni anno che passa l’Italia peggiora. E non sono solo i treni che non vanno e i servizi che, se possibile, vanno ancora meno. Mi riferisco al clima culturale: c’è un’aria chiusa e ferma, si respira a malapena, soffocati da milioni di cautele, di paure e freni. Non è una questione politica; se così fosse basterebbe che l’opposizione vincesse le prossime elezioni. Invece purtroppo da questo punto di vista non cambierebbe niente. Perché la causa principale di queste inibizioni è dentro di noi, inculcata dalla nostra storia. Ci sono argomenti che semplicemente non si affrontano, nemmeno in linea teorica: certe idee non vanno pensate, e se si pensano non vanno scritte. Un eccellente esempio è Dio. In Italia c’è questa curiosa abitudine: la Chiesa può offendere i laici come crede, e questi – perfino i più radicali – mantengono comunque un deferente rispetto derivante, credo, dall’educazione ricevuta. Questo sentimento profondo e irrazionale crea un clima strano: io posso scrivere che la favola di Adamo e Eva mi pare diseducativa, o che trovo ripugnanti certe posizioni del Vaticano. Ma se decidessi di fare un film come The Life of Brian dei Monty Python, una parodia feroce della vita di Gesù, avrei delle difficoltà. Un sito come jesusdressup.com, dove c’è un Cristo in croce che si può vestire da Babbo Natale, da sub o da clown, in Italia non si potrebbe fare. Purtroppo questa forma di inibizione non riguarda solo la chiesa. Negli USA esiste un genere di letteratura gay chiamato Slash. Sono storie molto sudice e underground, i cui protagonisti sono famose coppie maschili: Kirk/Spock, Batman/Robin, Gianni/Pinotto, etc. Ovviamente la politica offre grandi spunti, e la coppia Bush/Cheney va fortissimo. E in Italia? Esistono raccontini piccanti su Bossi/Tremonti, Prodi/Rutelli o Wojtyla/Ratzinger? Pare di no. E non perché vengano censurati, ma perché tali e tante potrebbero essere le conseguenze che semplicemente si tende a escluderli a priori.

Diceva Freak Antoni anni fa che in Italia non c’è gusto ad essere intelligenti; aggiungerei che nel 2006 è quasi impossibile essere indipendenti. E’ lo stesso problema spinoso e complicato, uno dei fattori che determinano la nostra scarsa libertà di stampa, e direi proprio di parola. In Italia gli indipendenti sono pochissimi. Prendiamo i comici: di qua o di là. Completamente organici al potere, come il Bagaglino, o dichiaratamente di sinistra. Di indipendenti semplicemente non ce ne sono. Idem la stampa, i telegiornali, gli opinionisti (con rarissime eccezioni, spesso dubbie). Nessuno è indipendente, e chi lo è politicamente non lo è dalle inibizioni, ben inculcate e spesso ribadite dai potenti. Berlusconi ha denunciato chi lo sfotteva in piazza; idem D’Alema con Forattini, il più potente dei disegnatori spuntati italiani, che è orrendo ma ha il diritto di fare schifo, finché trova qualcuno che glielo fa fare. Cose così scoraggerebbero chiunque.

L’Italia contemporanea è il paese della corsa alla medietà, dove le voci indipendenti non servono. L’ultimo esempio è personale: a gennaio è stato terminato il mio programma radio. Non per qualcosa che ho detto o fatto, ma per “mancanza di omogeneità con la programmazione della radio” (e anche di tutte le altre, aggiungerei io). Non si è trattato di una chiusura traumatica, ci siamo lasciati con stima. Non posso però non pensare che dietro il concetto di disomogeneità se ne nasconda un altro più profondo e inconscio: la paura atavica di una voce indipendente, fuori dai cori, che chissà che dirà mai, quali idee eversive diffonderà attraverso l’etere. Li capisco, e in un certo senso hanno ragione: dico qualsiasi cosa (per ora senza aver mai subito denunce), e diffondo idee molto eversive: pensieri indipendenti. Due motivi per cui da quasi dieci anni, bontà vostra, venite a leggere questa pagina.