Sul web è essenziale sembrare attendibili, e magari anche autorevoli. Bisogna esserlo? Non necessariamente. Ma bisogna farlo credere all’arbitro supremo della rilevanza in rete: l’algoritmo.
Qualche mese fa il servizio meteorologico britannico ha chiesto ai media di fare attenzione al linguaggio utilizzato nel comunicare le previsioni del tempo, e di mettere l’accento sul dato positivo. A pensarci bene non è un’idea stupida: se la Tv dice “Piogge sparse”, tutti (quelli che ascoltano le previsioni, una bella fetta della popolazione) usciranno con l’ombrello, mentre l’espressione “Sereno, con possibili rovesci locali”, pur descrivendo lo stesso clima, indurrà a pensare che sarà perlopiù una bella giornata. Ma se questo è un semplice trucco verbale, nelle tecnologie questo genere di mentalità può portare risultati davvero inaspettati, a volte terrificanti.
Tra i primi passi compiuti dalla Captologia, scienza che studia le tecniche di persuasione applicate all’informatica, c’è stato quello di studiare delle linee guida per creare siti web apparentemente attendibili e affidabili. Dico apparentemente perché le stesse tecniche funzionano sia col sito di una multinazionale farmaceutica che con un web-supermarket di Dvd porno, che siano realmente seri o meno. Sono semplici regole, simili a quella di inserire falsi dentisti, maturi ma attraenti e rassicuranti, negli spot dei dentifrici: semplici ma evidentemente efficaci. Una volta stabilito che un sito è autorevole, le informazioni (magari pubblicitarie) vengono presentate utilizzando la regola del meteo di cui sopra: per esempio gli effetti collaterali di un farmaco, riscontrati magari nel 12% dei pazienti, possono essere descritti come “rari”.
La questione si fa davvero spinosa quando non siamo sul sito di un’azienda (che sappiamo essere di parte) ma in una zona che a noi pare indipendente, e magari perfino autorevole: portali, motori di ricerca, riviste digitali e perfino i siti dei quotidiani. Tutte aziende che esistono solo grazie al fatto di essere percepite come attendibili, affidabili e a volte autorevoli. Qui ovviamente la captologia è essenziale, ma non basta; l’immensa fortuna di Google, per esempio, si deve infatti alla bontà dei suoi prodotti, e in particolare due: uno che usiamo tutti, il motore di ricerca, e l’altro invece utilizzato perlopiù dall’industria del web. E’ il PageRank, un sistema di rating dei siti, una sorta di indice di autorevolezza e affidabilità basato su un algoritmo segretissimo e costantemente rinnovato, lo stesso che determina quali pagine appariranno per prime nei risultati delle ricerche. Un dato importante per chi opera online, e assai delicato da gestire: se i risultati di una ricerca sono irrilevanti o solo pubblicitari, è difficile che gli utenti considerino quel motore autorevole. Quindi l’equilibrio dell’ algoritmo (“Procedimento che consente di ottenere un dato risultato eseguendo, in un determinato ordine, un insieme di passi.”) è cruciale.
Ma se dai prodotti si passa alle idee o alla storia? Cercando Olocausto su un motore maligno, come primo risultato potrebbe apparire un sito che ne nega la realtà storica. In Cina, cercando i dissidenti sul web si trovano solo siti statali, come da algoritmo concordato col governo. Ecco i risultati di Comunismo su google.it: il primo è un sito nostalgico, malfatto e apparentemente antichissimo, ma già il secondo inizia con l’immagine esplicita di un ufficiale polacco impalato dai sovietici. Poi viene l’asciutta definizione di Wikipedia, e il quarto risultato si intitola “Comunismo – la terribile carneficina”.
Il meraviglioso mondo delle tecnologie pare neutro ma in realtà ha un’anima sensibile, perversa e cangiante: l’algoritmo. Che può determinare cosa vediamo e cosa resta nascosto (benché presente), con quale ordine apprenderemo le notizie e l’autorevolezza delle fonti. Che domani può decidere che i termini Marx, Marijuana e Sesso non riproduttivo diano solo risultati concordati con la Presidenza del Consiglio, o peggio con la CEI. L’autostrada dell’informazione e il vicolo cieco della propaganda, mano nella mano.