Su una cosa dovremmo essere tutti d’accordo: la quantità di donne assassinate dai partner o ex in Italia è intollerabile. Poi certo, esiste gentaccia dimenticata dall’evoluzione che dice cose tipo “Chissà lei che aveva fatto”, ma è destinata a estinguersi. Il problema invece riguarda gli altri maschi, inclusi tutti noi. Io non credo che questi assassini siano pazzi o persone particolarmente violente. Sono uomini (e qualche volta anche donne) che coltivano una visione assurda dell’amore. Assurda ma non sconosciuta, esotica o folle. Le loro dichiarazioni non sono mai farneticazioni sconnesse assimilabili alla follia, non gliel’ha fatto fare il demonio. Sono parole, a volte perfino di pentimento, che però si appellano sempre a un sentire collettivo; magari loro hanno esagerato ma la logica, il pensiero dietro alle loro azioni sarebbe comune a tutti noi, e forse perfino nobile. L’amore, la gelosia, il possesso dell’oggetto amato, la difesa del nucleo familiare, l’intollerabilità dell’idea che lei abbia qualcun altro. Sensazioni che secondo loro dovremmo provare tutti, ma che nel loro caso sono talmente intense da indurli a gesti estremi. Terribile, anche se in Italia fino a pochissimi anni fa questo tipo di violenza era perfino regolata dalla legge, come nell’adulterio o il delitto d’onore. Logiche così oggi non sono più immaginabili, anche se persistono sacche di sottosviluppo. Quindi la causa degli omicidi di donne non è la follia bensì questa idea irreale di relazione tra sessi che in soggetti sensibili scatena reazioni abnormi. Magari allora ha senso chiedersi dove si apprendano questi comportamenti. Sui libri? I film? Le serie Tv? Non mi pare. Anche a scuola non direi. Forse dalle canzoni, i cui testi hanno spesso descritto gelosie e gesti estremi? Francamente non credo: la musica pop racconta sempre un sentire comune. Magari è la natura che scalpita, il ricordo Neandertal del maschio che protegge il focolare? Non diciamo fesserie: sono le donne che fanno i figli. E allora dove si imparano questi sentimenti?
La risposta mi pare una sola, brutta e sconsolante: nella società e nei suoi nuclei fondativi, innanzitutto la famiglia. Se un genitore è possessivo col partner è possibile che i figli lo diventino. Se una femmina viene educata in maniera diversa, è prevedibile che il fratello ne deduca una regola. Se, magari per amor di pace, la madre accetta comportamenti sbagliati del padre, mi pare plausibile che i figli memorizzino questa dinamica. È uno dei mille motivi per cui sono favorevole a famiglie di ogni gender: se l’obiettivo è scardinare queste logiche sessiste certamente funzionano meglio di quelle tradizionali. C’è poi un altro posto dove si assorbe questa oggettificazione delle donne e cioè la comunità dei maschi, inclusi voi e io. E chi tace è complice. Si va dal commento stradale evidentemente molesto all’occhiata non richiesta che lascia la bava sul culo della malcapitata, fino alla gomitata complice tra maschi in ufficio. Abbiamo tutti un amico così, e qualche volta quell’amico siamo noi. Non c’è niente di male a capirlo e cambiare, anzi. Viceversa c’è tutto di male.
Infine c’è un aspetto di educazione all’amore che riguarda ognuno, e che mi pare insieme difficile e urgentissimo. Non è vero che “In amore, come in guerra, tutto è permesso”. Nemmeno in guerra è più permesso tutto, figuriamoci in amore. Eppure questa logica continua a governare le azioni di molti. Insieme a un’altra idea comunissima, oscena e velenosa: che l’amore si misuri a peso, che la quantità sia un valore e che l’intensità (variamente intesa) sia proporzionale alla bontà del sentimento. Un’idea terribile, che spalanca la porta a mille infamie, abusi e violenze fatte e subite in nome dell’amore. Mentre è chiaro che in amore l’importante è la qualità. Non mi interessa sapere quanto mi ami, ma come. Fatto questo passo forse saremo un pezzetto avanti.