Oggi le vie della sessualità sono praticamente infinite. Ma non è sempre stato così; nella storia, il catalogo delle “perversioni” è rimasto sostanzialmente invariato per secoli. Alla fine dell’800 Krafft-Ebing ne tenta una classificazione nel libro (grazie al cielo superatissimo) Psychopatia Sexualis, dove cataloga le varie parafilie: “Manifestazioni della sessualità umana caratterizzate dall’eccitazione provocata da comportamenti o situazioni non direttamente connessi alle finalità riproduttive tipiche del sesso tradizionale” (Wikipedia). Oggi, sempre grazie al cielo, la quasi totalità di queste pratiche è stata sdoganata: non ci si scandalizza più se si parla di sesso anale, la masturbazione è considerata una pratica sana (e necessaria) e a nessuno verrebbe mai in mente di considerare l’omosessualità una malattia (salvo a essere Borghezio, ma forse essere lui è una patologia).
Eppure ancora oggi la Bestialità, o meglio il Pet Loving, fare sesso con gli animali, resta assai controverso. Illustrato in dettaglio su vasi greci e bassorilievi indiani, è invece considerato inaccettabile dalla gran parte della società odierna, benché l’amore per gli animali sia molto in voga. Chiunque conosca la pornografia storica sa benissimo che le scene di sesso tra donne e animali sono abbastanza comuni. La prima a farlo sul grande schermo fu una certa Bodil Joensen, danese, filmata nel ’70 da Ole Ege (forse il primo regista hard della storia). Il suo film A summer day, contrabbandato anni dopo nel resto d’Europa col titolo di Animal Farm, è stato considerato per decenni il fondo del barile.
Fino all’arrivo della rete, che ha avuto un effetto molto intenso sulla pornografia: da spettacolo passivo è diventata un’attività partecipativa dove si premia l’entusiasmo e la naturalezza più dell’aspetto. E se questo è vero per il porno straight, lo è a maggior ragione per i generi più estremi. Nel terzo millennio, se vuoi fare soldi col porno vai a fare dei film mainstream. Se invece ti fai appendere per le palle, o fai sesso con gli animali, tendenzialmente lo fai anche perché ti piace – o comunque non ti preoccupa più di tanto. A pensarci bene questo è un fatto positivissimo; non solo suggerisce l’idea di una scelta consapevole e consensuale, ma produce una pornografia molto più interessante perché “vera”: non più fiction insomma, ma documentario.
Nel numero di settembre della rivista Bizarre c’è un’intervista a due dei protagonisti dell’ultima ondata di Animal porno in rete, Alan e Stray X, rispettivamente operatore/regista/webmaster e star di una lunga serie di film apparsi su vari siti negli ultimi 5 anni. Stray si dichiara femminista, è molto bella, sorridente e laureata in Fine Arts; sostiene di avere avuto questo desiderio da sempre, ma di aver trovato il coraggio di esplorarlo solo dopo aver trovato anime simili nei forum. Racconta Alan: “Avevo messo in rete un manuale semiserio per principianti su come fare sesso con un cane; ci fu un responso enorme. All’epoca l’Animal porn aveva solo un valore di shock, mentre c’era la richiesta di materiale chic, sexy, coraggioso e cool. Inoltre in quei film non c’era niente che attirasse le donne, di solito raccontate come troie senza ritegno: esattamente l’opposto della nostra filosofia.”
Naturalmente c’è una zona grigia etica abbastanza evidente: la relazione tra cane e padrone non è esattamente improntata alla libera scelta. Però spesso gli animali domestici instaurano relazioni anche sessuali con gli umani. Dice Stray: “Costringere un cane a avere un’erezione e quindi fare sesso con un umano è impossibile.” Io non so se questo sia vero. Però, se uno apprezza il genere, oggi la scelta è tra una povera baraccata brasiliana che magari lo fa per mantenere la figlia malata e Stray, o le varie altre nuove star dell’Animal, che invece si divertono. E non mi pare ci siano dubbi: come dicono a Napoli, dove c’è gusto non c’è perdenza.
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