Antenati vs Pronipoti

La generazione post internet diventa adolescente: è sveglia, veloce e a proprio agio con la tecnologia che per lei non significa niente. E torna, dopo anni di genitori-fratelli, una figura che sembrava scomparsa: il Matusa.

La tecnologia ha sempre imposto dei momenti boa, che o sei dentro o sei fuori. E’ successo dall’inizio, e ormai è abbastanza chiaro che malgrado le tecnologie accadano sempre più rapidamente, ci vuole una generazione perché diventino una vera estensione di noi stessi. Il film Totò e le donne (1952) documenta uno di questi passaggi: la donna di servizio è così eccitata dall’aver risposto al telefono che non ricorda più chi ha chiamato. E’ solo dalla generazione successiva, quella fisicamente nata dopo, che il rapporto cambia, in certi casi in modo spettacolare: chi di noi non ha mai pianto al telefono? Questo è un passaggio epocale: la tecnologia diventa davvero personale e scompare. Ecco perché la telefonia mobile ha avuto tanto successo: telefonare è un’esperienza già familiare. Come la macchina da scrivere, icona di una generazione di scrittori che però era già la seconda: la precedente aveva opposto fortissime resistenze, e sono stati scritti saggi per sostenere che la macchina avrebbe ucciso la poesia. Ma è solo un esempio: molti sostengono che il cambio automatico annulli il piacere della guida.

In fondo è piuttosto naturale: solo chi sa cosa significava darsi un appuntamento in strada prima dell’avvento dei cellulari può sentirsi sollevato ogni volta che è in ritardo; per chi ci è nato non significa niente. Questo è vero di tutte le tecnologie, dalle tubature alla lavatrice, fino al volo intercontinentale e a Google. La differenza è che una volta le tecnologie arrivavano lentamente e per ognuna c’era un certo tempo di assorbimento, mentre oggi da una singola invenzione, per esempio il chip, nascono innovazioni a catena che modificano permanentemente il nostro paesaggio. La vera rivoluzione tecnologica l’hanno vissuta i ragazzi del ’99 (1899), che nella loro vita hanno visto diffondersi tecnologie incomprensibili e semidivine come il telefono, l’automobile, la tv, la bomba atomica, – e quasi qualsiasi altra vi venga in mente. Questa invece è la rivoluzione digitale, generata da una singola tecnologia (la conversione delle informazioni in numeri), e soltanto adesso sta avvenendo la sua metabolizzazione. Potremmo dire che i 35/40enni di oggi sono i nuovi ragazzi del ’99, e i loro figli nati dopo il ’90 sono la generazione post-sorpresa, che usa il digitale come ci si fa’ la doccia, immemori dei viaggi al pozzo dei nostri avi.

Il primo sintomo ovviamente è la deglamourizzazione: nessun ragazzo si meraviglia di quante informazioni ci siano in rete o della vastità di certi videogiochi. Il copia e incolla è come la Coccoina, l’sms è l’equivalente del bigliettino delle medie e Google serve a tutto, dai temi ai porno. I libretti delle istruzioni è come se non esistessero, e questo a volte sorprende gli adulti. La risposta “Sono tutti uguali” che m’ha dato un tredicenne, in realtà nasconde un ulteriore indizio: la logica che presiede al funzionamento di qualsiasi oggetto computeristico-digitale è la stessa, per esempio prima dai un comando e poi premi enter, e – salvo interfacce utente mal progettate – conoscendone la logica si riesce a far funzionare pressoché tutto. Un fatto sorprendente per gli over 35 non tecnofili, una cosa normale per questa generazione che non è affatto tech-feticista: sono i quarantenni sorpresi che subiscono l’erotismo tecnologico. Per loro il cellulare è come il rubinetto: utile, magari anche bello, ma non sexy.

Le implicazioni di questo passaggio non mi sembrano prevedibili, se non rapportate a quello che è successo nel corso del XX° secolo. Che non è incoraggiante: genitori nostalgici di un mondo dove si giocava per strada, ci si trovava al muretto e non in chat e il sesso “era quello bello di una volta”, come ho sentito dire da un padre che poi ha aggiunto: “Il mondo era reale, mica virtuale come oggi”. Con figli digitali, iperveloci e multitask, in grado di distinguere reale e virtuale e completamente a loro agio in ambedue i mondi, e a cui mamma e papà sembrano poco più della donna di servizio di Totò.