Aspettando il Digitofono

La storia degli strumenti musicali è essenzialmente una vicenda di tecnologie, di materiali e di artigianato alto. Chiunque abbia provato a costruire un flauto di canna (un’esperienza utilissima, che dovrebbe essere fatta alla scuola elementare) sa che non è semplice come sembra: il rapporto tra diametro del bambù, spessore, dimensioni e distanza dei fori dev’essere perfetto, altrimenti il flauto stonerà. Naturalmente il materiale è essenziale: i costruttori di ance per zampogne (pure fatte di bambù) consigliano di procurarsi le canne in zone particolarmente ventose e non troppo umide: quel legno infatti ha una grana compatta e flessibile, più adatta. Insomma, tra flauto di pan (uno dei primissimi strumenti costruiti dall’uomo) e pianoforte (probabilmente lo strumento più sofisticato mai costruito) ci sono solo alcuni gradi di tecnologia in più.

Gli strumenti della nostra tradizione sono stati oggetto di infiniti studi e catalogazioni, e su alcuni strumenti particolarmente sofisticati, come il violino, si sono esercitati artisti, poeti e scienziati nel tentativo di descriverne e classificarne le caratteristiche: come sappiamo, alcuni violini settecenteschi mantengono ancora un certo mistero intorno alla stupefacente qualità del loro suono. E mentre nel passato esisteva una tradizione di sperimentazione costruttiva, l’ultima ondata di novità (prima dell’elettronica) che la musica classica ricordi è l’introduzione del sassofono (e la formalizzazione definitiva del clarinetto moderno, o dell’arpa) nella seconda metà dell’800.

Effetto collaterale della cristallizzazione della musica occidentale classica è stata la fine della ricerca sugli strumenti musicali tradizionali. Anche musiche considerate di grande rottura col passato, come la dodecafonia, hanno sempre usato strumenti tradizionali, e perfino il padre di tutte le innovazioni musicali, John Cage, è famosissimo per l’invenzione del pianoforte preparato – che sarà pure preparato (cioè modificato attraverso l’introduzione di materiali vari nella cassa e sulla cordiera) ma resta sempre un piano. Insomma, le tecnologie e i materiali dei nostri strumenti musicali sono sostanzialmente ferme a 150 anni fa. Giusto per fare un esempio di segno diverso: la musica classica indiana, che a noi pare eterna e immobile, è invece stata oggetto di innovazioni davvero rivoluzionarie, anche recenti: l’Harmonium, introdotto dai missionari, è stato adottato dai musicisti del nord dell’India e, con la semplice aggiunta di un bordone, è diventato uno degli strumenti più rappresentativi di quella cultura musicale. Le Tablas, a loro volta derivate da percussioni più antiche, sono state formalizzate solo all’inizio del ‘900 e tuttora restano sostanziali differenze tra strumenti di diversi costruttori. Insomma una tradizione vivente e dinamica.

La grande rivoluzione del ‘900 è stata ovviamente l’elettronica che, come sappiamo tutti, è in grado di riprodurre qualsiasi genere di timbro con qualsiasi genere di interfaccia: pad percussivi, tastiere, chitarre, fiati ecc. Poi naturalmente abbiamo i suoni digitali, certamente innovativi ma non sostanzialmente dissimili da quelli tradizionali. Ma se si escludono il campionamento e la dj music (tecniche che consentono di fare musica utilizzando altra musica), o curiosi ibridi come lo Stick e il Theremin, l’età elettronica non ha portato sostanziali innovazioni nella manualità della musica: a quando insomma un vero, nuovo strumento musicale con un timbro, una action e esiti musicali veramente inauditi?

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