Uno dei fenomeni giganteschi dell’economia musicale degli ultimi 30 anni è l’esplosione sul mercato degli strumenti fatti in Asia. Non mi riferisco ai milioni di pezzi di tecnologia che tradizionalmente provengono da quell’area, ma agli altrettanti milioni di strumenti – di legno, di ottone e a volte di plastica – che riempiono i negozi di tutto il mondo. Si è molto discusso in passato su questo fenomeno; secondo me oggi vale la pena di aggiungere qualche elemento. Come esempio utilizzerò le chitarre, strumento a me più familiare, ma il discorso è simile per molte famiglie, dagli archi agli ottoni.
Tradizionalmente gli strumenti venivano prodotti in luoghi in qualche modo legati all’uso: i violini in Italia, gli organi in Germania, le chitarre in Spagna. Col Rock’n’Roll il polo centrale della produzione di chitarre diventano gli USA, anche grazie alle innovazioni di aziende sostanzialmente artigiane come Fender, Gibson e Martin. I loro strumenti vennero immediatamente imitati da una gran quantità di produttori, in grado di offrirne una versione più economica. In Italia era la Eko che offriva a buon mercato strumenti ispirati ai modelli americani: possedere una vera Gibson Les Paul Custom era davvero un sogno per pochi. Una delle ragioni dei prezzi stellari era naturalmente proprio l’artigianalità della costruzione, che ne garantiva l’eccellenza e insieme ne limitava la produzione. La mia prima memoria di chitarre Martin è nei primi anni ’70, avvistate al collo degli artisti West Coast. In quello stesso periodo nei nostri negozi si trovavano le versioni economiche proprio di quelle chitarre, della Eko (le cui acustiche a 12 corde restano nella storia) e della Yamaha – la prima azienda orientale a fare la corsa con le grandi americane.
Negli anni ’80, grazie al Metal, la produzione di chitarre elettriche si espande enormemente e il mercato se lo spartiscono aziende USA e asiatiche – giapponesi ma soprattutto coreane. Nello stesso periodo si diffonde, da parte dei marchi storici, la pratica della doppia produzione. La Fender per esempio produce la Stratocaster in molti modelli, ma in due semplici linee: made in USA o in Mexico. Le differenze sono nella fattura, nei materiali (e quindi nella performance) e nel prezzo, che a spanne è inferiore di circa due terzi. La Cina entra sulla scena più tardi ma con un impatto altrettanto potente: oggi, gran parte delle chitarre nei negozi sono fatte lì, e possono costare meno anche per questo. Naturalmente spesso si tratta di strumenti mediocri, a volte esageratamente economici. In Occidente c’è sempre stata grande diffidenza verso gli strumenti musicali fatti in Asia, considerati nella migliore delle ipotesi adatti ai principianti ma certamente non professionali. Certo, produrre una chitarra elettrica che deve costare nel negozio 29,99 € porta alla mediocrità.
Per fortuna le cose cambiano, a volte in meglio. Di recente ho provato, e quindi comperato, una chitarra davvero interessante. E’ la replica made in China di un vecchio modello Martin, realizzata secondo le specifiche storiche da bravi liutai cinesi, utilizzando legni scelti e lavorati con cura. Il risultato è una chitarra eccellente, di prezzo intermedio tra 29,99 € e 2.999 €, costo dell’originale. Mi sembra anche il riscatto della Cina, non più solo produttore di oggetti dozzinali ma anche di strumenti competitivi, realizzati con cura da mani magari meno esperte ma certamente più abbordabili di quelle statunitensi: mi pare una bella notizia.