Personalmente detesto le ricorrenze, e preferisco quasi sempre il futuro al passato. Credo però anche molto nella relazione di causa-effetto tra passato e futuro, e cerco sempre di ringraziare chi è venuto prima di me, e mi ha consentito di essere come sono. Quest’anno sono 50 dal 1968, o come lo si è chiamato da allora in poi, il Sessantotto. Come molti sanno nel ’68, in molte città del mondo, ci fu una sorta di sollevazione di molti giovani, che davano voce alla loro insoddisfazione per una società che secondo loro non rappresentava un modello giusto di convivenza e sviluppo. Manifestazioni, incidenti con la polizia, prese di posizione durissime da parte degli adulti e dello “stato”, che si vedeva per la prima volta messo in discussione così duramente. Dal Sessantotto emerge una nuova figura di giovane, non più solo futuro adulto, ma soggetto spesso critico verso la società, e più propenso al cambiamento. Certo, il ’68 è stato l’inizio di molte cose; però in realtà è stato il culmine, forse prevedibile, di una decade di fuoco, nella quale succedono cose fondamentali sotto molti fronti.
Innanzitutto la musica: negli anni ’60 scoppia tutto. Si diffonde il Rock’n’roll, poi i Beatles, Dylan, gli Stones, la stagione dei Festival, e via dicendo. Fenomeni innanzitutto musicali, ma che suggeriscono anche alcune idee molto precise. Non è un caso che il Rock’n’roll fosse visto così male dagli adulti: il suono, i temi trattati, il ballo, l’effetto sul corpo – era una musica rivoluzionaria, in tutti i sensi, che parlava a una generazione escludendo le precedenti. A questi suoni si associano nuovi stili, di vestiario e di vita. In questo modo, per la prima volta i giovani possono esprimere la loro diversità, anche solo facendosi crescere i capelli o portando la minigonna. Nascono gli stili urbani, che nel tempo diventeranno culture, come quella Mod o l’Hip hop. I Jeans, negli anni ’60 un simbolo prima che un capo di abbigliamento, sono il primo caso diffuso di vestiario Unisex – una bestemmia per molti adulti, un’affermazione di libertà per le ragazze che li portavano. Lo stile è importante perché sposta la conversazione su un piano personale, dove l’abito diventa bandiera: ecco come, qualche anno dopo, nasce il Punk. Anche il cinema coglie il cambiamento, e da Gioventù Bruciata (in originale Rebel Without a Cause) e Il Selvaggio (1955/56) si arriva a Easy Rider, Arancia Meccanica, Zabriskie Point (e qualche anno dopo Tommy degli Who, un film davvero premonitore), tra i molti. Grazie a Woodstock, uscito nel ’70, milioni di giovani in tutto il mondo possono “esserci” e partecipare.
Ma gli anni ’60, iniziati in un boom economico e terminati in una crisi, mi sono cari soprattutto per una ragione. Nel ’68, per la prima volta, quelle parti della società tradizionalmente considerate “inferiori” si coalizzano e si ribellano. I giovani, ma anche le donne (in quegli anni si forma il pensiero femminista contemporaneo), gli omosessuali (alcuni dei quali per la prima volta timidamente emergono), gli operai (che escono da logiche sindacali e si uniscono agli altri arrabbiati), alcuni intellettuali e tutti gli irregolari.
Qualcuno sostiene che il Sessantotto non sia servito a niente, o perfino che sia stato negativo. Certamente non ha causato alcun cambiamento immediato e tangibile. Però ha messo in moto un meccanismo, aperto delle strade, dei canali, delle possibilità. Solo un esempio: in quegli anni, all’interno del grande mare della Controcultura, nasce la stampa musicale italiana moderna. Case editrici come Stampa Alternativa, riviste seminali degli anni ’70 come Gong, Muzak e poi Musica ’80, hanno le proprie radici nella cultura del ’68. Se non ci fosse stato il Sessantotto, figlio dei ’60, il mondo sarebbe assai diverso. Voi, per esempio, non stareste leggendo una rivista di questo tipo, io non la starei scrivendo, la redazione di Rumore avrebbe altro da fare, e i musicisti nominati in questo numero forse farebbero un altro mestiere. Meglio così, no?