Nello scorso numero di Rumore ho sostenuto di essere contrario alla riduzione dell’iva sui prezzi dei cd, così come proposto – pare – dalla nuova legge sulla musica (per molte ragioni; se vi interessano andatevele a leggere). Stavolta invece vorrei ribaltare la questione in positivo: in che modo si potrebbe aiutare la musica in Italia attraverso una legge?
Pur essendo un cavallo di battaglia di AN (che qui, in perfetta continuità col fascismo, difende l’italianità),devo dire che l’idea di aiutare la nostra musica lasciando gli stranieri a vedersela col mercato non mi dispiace; perché poi gli stranieri magari vengono da paesi che difendono la propria scena musicale anche – per esempio – con un meccanismo chiamato di “quote”. Il sistema è semplice: le radio hanno delle quote di musica locale che devono trasmettere per ottenere certi finanziamenti; ogni gruppo straniero in tour deve avere, per legge, un gruppo spalla locale.
L’idea delle quote non mi piace per niente, anzi. Però poi penso che se negli ultimi anni molti artisti europei hanno potuto mettere fuori la testa è stato anche grazie a meccanismi di questo tipo, che pur avendo dei difetti hanno il pregio di funzionare soprattutto per i gruppi esordienti ed i generi marginali.
Ho già ampiamente spiegato perché non credo che Nek, pur essendo italiano, dovrebbe beneficiare di uno sconto. Ma per fortuna non c’è solo Nek che fa i cd; c’è anche, per esempio, Stefano Bassanese (eccellente compositore veneziano di musica contemporanea) o gli Unbelievable Cazzons, gruppo di grind folk-core umbro; in comune hanno il fatto di vendere poco. Un altro sistema potrebbe quindi essere quello di stabilire un tetto (10.000 copie? 15.000?) sotto il quale scattano le agevolazioni. I benefici di un provvedimento del genere ricadrebbero “a pioggia” su molti generi musicali diversi, e premierebbero tutte le etichette che si occupano di prodotti marginali (e spesso davvero culturali, mica come Nek) oltre ad incentivare le major discografiche (attualmente impegnatissime nella ricerca del nuovo Nek) a produrre anche cose più interessanti.
Un’altra possibilità potrebbe essere la defiscalizzazione totale per il primo album di un artista; l’idea è sempre quella di indurre le majors (che controllano il 95% del mercato italiano) a fare più “primi dischi” e meno “dischi di artisti che ne devono fare per contratto”.
C’è poi tutta una zona che trovo molto interessante sulla quale si può operare, e cioè quelle micro-imprese che gravitano intorno alla musica italiana e spesso la rendono possibile: le etichette indipendenti, i locali che la programmano, gli studi, le riviste, etc. Finanziare queste realtà, vincolandole però a certe regole, è una politica che certamente pagherebbe, e basta parlare con chiunque faccia musica a Bologna (dove queste politiche sono la prassi) per capirlo. Senza contare che chiunque abbia prodotto per anni musica italiana marginale ma interessante, rimettendoci o quasi, secondo me ha tutto il diritto di essere agevolato economicamente dallo stato (coi nostri soldi); questa categoria include molte delle etichette indipendenti, le quali spesso svolgono il vero lavoro di talent-scout per le majors, che si limitano poi a prendersi l’artista, se il primo album è andato bene, offrendogli più soldi.
Infine il negozio di dischi: come sappiamo è un luogo che sta per sparire e presto compreremo la musica via rete. Sarebbe però interessante, in questo suo crepuscolo, provare a fargli degli sconti fiscali se lui si prende in carico certo materiale (i primi dischi, quelli che vendono meno, etc.) insieme all’immondizia che espone di solito per attirare clientela rintronata di réclame. Robaccia che non si merita l’iva al 4%; musica odiosa, brutta e filosoficamente ripugnante: in che senso “everybody should be happy”? Anche col doping, o magari a spese di qualcun altro?
* Questo mini minor è diviso in due parti, di cui questa è la seconda. Qui trovate la prima, intitolata “4%“.