Una volta assodato che i meccanismi delle dipendenze sono anche intimamente legati alla ripetizione di una sensazione piacevole (dal tartufo alle pasticche), e che viviamo in un mondo che fa dell’auto-indulgenza la sua fede, basta guardarsi intorno per scoprire nuovi piaceri, e quindi nuove dipendenze. Ma se una volta erano cose ovvie, come il Babà o l’Eroina, oggi la ricerca della felicità include anche pratiche radicali come la chirurgia.
Sappiamo tutti che va di moda rifarsi, e semmai ce ne dimenticassimo ci sono sempre quelle assurde tette d’acciaio su Italia Uno a ricordarcelo. Sappiamo anche che dopo il seno uno si fa gli occhi, e poi il lifting, il trapianto di capelli e il canottaggio delle labbra. E ricordiamo bene i lineamenti instabili di Michael Jackson, impegnato in un procedimento ormai ventennale di alterazione di sé. Allora uno si chiede: esisterà una dipendenza da bisturi?
Parrebbe di si. Prendiamo ad esempio il lifting, uno degli interventi più comuni. Il primo dura circa sette anni. Poi per mantenere quel risultato ce ne vorrà un altro, che però ne durerà solo quattro. Continuando così, a sessant’anni il paziente avrà la faccia “simile a una carta geografica, coi vasi sanguigni in evidenza sotto la pelle sottile e trasparente”. Ovviamente poi uno può mettersi il Fard.
Ma non è solo il mantenimento a creare dipendenza. E’ chiaro che una donna con seni artificiali altissimi e immensi, col passare del tempo vorrà anche delle sode natiche sintetiche, ultra-labbra vulcanizzate e l’interno coscia della Venere di Milo. Così come un settantenne con capelli concimati li vorrà tutti neri, si farà togliere le borse dagli occhi e diventerà un dannato della rimozione della pappagorgia, che pare si riproduca più velocemente del lifting.
Lo scenario futuro è Burroughsiano ma plausibile: San Patrignani per vittime della chirurgia estetica. Per aiutare chi non riesce a smettere, già oggi una moltitudine, e per consolare quelli che vorrebbero tornare com’erano, per rivedersi allo specchio come mamma li ha fatti.