La notizia nuda e cruda è questa: chiude l’ultima fabbrica di CD negli USA. La distribuzione digitale, e il ritorno dei supporti analogici, pare aver reso obsoleto il Compact Disc. Detta così non pare un fatto significativo. Vorrei metterlo in prospettiva, e fare due riflessioni.
All’inizio c’era il 78 giri, il 45, e poi LP e Cassette. Col progredire della qualità di registrazione e incisione, miglioravano anche gli impianti di riproduzione: giradischi, amplificatori, casse. L’altro fattore essenziale per un buon ascolto, oltre alla qualità variabile delle stampe, era l’usura dei dischi: come molti miei coetanei, posseggo diversi album in più copie, a vari stadi di fruscio. L’originale, cioè il Master, era un nastro magnetico (la bobina, in assoluto il supporto di maggiore qualità), del quale veniva fatta una copia dalla quale si produceva la Matrice, la mamma dei vinili. Data la natura della tecnologia analogica, era impossibile duplicare un brano mantenendone esattamente inalterata la qualità: a ogni passaggio c’era una (magari infinitesimale) perdita.
Negli anni ’80 arriva il digitale, e il CD. Abbiamo tutti notato subito che suonava diverso. Nel frattempo però, gli artisti Pop avevano iniziato a utilizzare strumenti musicali e registratori digitali. Questo ha notevolmente attenuato la percezione della differenza di qualità tra CD e vinile. C’è un altro aspetto importante: negli anni ’80 si diffondono due nuove tecnologie per l’ascolto: lo stereo “compatto” (anche in versione Radione), senza giradischi ma con CD e Cassette, e il Walkman. Tecnologie low-fi in ambedue i casi, ma dotate di un trucco per supplire alle carenze del CD, e di casse e cuffie mediocri: il Bass Booster (Mega Bass, DBB, ecc.), un circuito che amplifica le frequenze basse, tanto care al Pop moderno ma difficili da riprodurre fedelmente. Oggi non esiste più alcun amplificatore senza extra bassi, salvo a spendere centinaia di euro. Aggiungerei che il CD, con tutti i suoi difetti, qualitativamente rimane il miglior supporto che ci abbiano mai venduto: entro certi limiti, la musica su CD si può rimasterizzare, cioè pulirla e migliorarne i suoni, e talvolta perfino stampare su vinile.
Alla fine dei ’90 si diffonde l’Mp3 il quale, grazie a un sofisticato algoritmo (e agli indispensabili booster di cui sopra), comprime la musica lasciandola apparentemente inalterata. L’Mp3 si può codificare a diversi livelli di qualità però, perfino nella migliore delle ipotesi, la differenza si sente – ma non nell’iPod: servono amplificatori e casse senza Mega bass, che quasi nessuno possiede più. Fui molto sorpreso quando le persone iniziarono a preferire l’acquisto di Mp3 a quello dei CD, a prezzi paragonabili (e oggi superiori, specie per gli album vecchi). Un CD lo puoi convertire in Mp3, ma non viceversa (con risultati decorosi). Per l’industria però era un’ottima notizia. Poteva chiedere lo stesso prezzo per merce senza costi di stampa e trasporto, di qualità inferiore e che, non richiedendo un player apposta (come il giradischi o il lettore CD), poteva facilmente essere resa obsoleta, così da spingerci a ricomperarla in nuovi formati. Cosa che già succede coi servizi di streaming, che contengono molta musica che abbiamo già (spesso in formati più fedeli).
Mentre oggi potremmo avere di meglio. Dopotutto i Master digitali degli album recenti sono di qualità assai superiore ai CD, e non sarebbe ne’ complicato, ne’ costoso consentire l’acquisto di file davvero Hi-fi, eterni (sono file, dopotutto) e ascoltabili ovunque. Ma ovviamente nessuna casa discografica (specie quelle grandi) metterebbe fuori i gioielli di famiglia: preferiscono distribuire delle fotocopie. Col risultato che gli unici a proporre file di buona qualità, la stessa dei CD, sono i produttori di nuova musica (Techno, House, Hip hop, EDM, ecc.), che vendono perlopiù ai DJ. Insomma, per gli ascolti di qualità lo scenario non è incoraggiante, e la chiusura di quella fabbrica mi pare un segnale chiaro: il futuro forse sarà più comodo, ma suonerà sempre peggio.