Computer: il futuro è remote

Macchine sempre più potenti e dischi sempre più grandi, a volte necessari ma perlopiù inutilizzati: uno spreco. Per fortuna il futuro del PC somiglia al trasporto intercontinentale: non serve comprarsi l’aereo, basta fare il biglietto.  

Chiunque ne abbia mai comperato uno lo sa: oggi un computer costa meno di vent’anni fa, o dieci. Ma mentre il prezzo è sceso la potenza è aumentata molte volte. Di quante esattamente lo ha predetto nel ’65 Gordon Moore, co-fondatore della Intel: ogni 18 mesi la velocità dei processori raddoppierà. E non solo la Legge di Moore si conferma tutt’ora valida, ma pare che lo sarà almeno per altri vent’anni: processori sempre più spaventosamente veloci, in grado di eseguire sempre più miliardi di operazioni al secondo, con dischi rigidi sterminati su cui archiviare tutto lo scibile umano – e spazio per farne anche una copia di backup.

Il fenomeno ha già raggiunto proporzioni assurde. Scrivo questo articolo su una macchina dotata di ben due CPU che lavorano su un gigabyte di memoria, e sotto due dischi da 160 giga l’uno. Ridicolo, se si confronta col primo computer su cui abbia mai scritto: processore da 8 mhz (250 volte più lento), 1 mega di ram (mille volte di meno) e floppy disk. Differenze salienti nella scrittura? Nessuna. Ma allora non potevo tenermelo? No, perché nel frattempo sono nate altre applicazioni, altri usi del computer:  manipolare audio e video, vedere film, trattare immagini a volte immense, giocare a Unreal Tournament… Tutte funzioni che richiedono grande potenza, e più ne hai meglio è. Quindi non è per fanatismo che ci si dota di macchine monstre, ma per poter fare tutto – quando serve.

Ma quando serve? Non poi così spesso, e comunque non sempre. E’ come dire che dovendo correre un Gran Premio alla settimana uno debba circolare sempre in Ferrari F1. Fa ridere, ma lui che deve fare? Non può mica correre il GP sulla Multipla. Coi computer è lo stesso: il mio adesso non si accorge nemmeno che sto scrivendo, ma quando avrò finito e potrò finalmente dedicarmi al mio attuale passatempo (costruire foreste digitali in 3D determinando specie ed età delle piante, latitudine, altitudine, esposizione, etc.) allora la sua potenza mi servirà tutta quanta.

Proprio questa situazione consente la nascita del Distributed Computing: donare (o vendere) il proprio tempo/macchina a progetti che richiedono grande potenza di calcolo. Il più suggestivo è il ben noto Seti@Home, che analizza i segnali radio provenienti dallo spazio alla ricerca di intelligenze extraterrestri: potete scaricare un piccolo software e mentre scrivete lui cerca messaggi di ET in background. Ma la vera rivoluzione sta in un concetto non nuovo ma semplice, attraente e in qualche modo anche ecologico: il Network Computer.

Basta un monitor, una tastiera e un cavo che ti collega alla rete. Tutto il resto (dalla CPU al software ultimo grido, fino al disco) è online e lo usi (e paghi) a richiesta. E se mentre scrivi userai pochissima memoria, quando devi visualizzare un castagneto centenario potrai comperare tutta la potenza che serve per farlo, senza poi doverla tenere lì a girarsi i pollici. E’ come avere una carrozzeria motorizzabile alla bisogna, o farsi una mastoplastica dinamica: una prima misura per fare jogging e una bella quarta per l’appuntamento galante. E poi tenere i propri dati altrove protegge dai furti, dagli incendi e perfino (come sanno bene i terroristi) dalla giustizia: uno dei concetti caldi del terzo millennio è quello di Paradiso Informatico.

Il Network Computing non c’è ancora, ma ci sono già chiari segnali in questo senso; per esempio si va diffondendo la pratica di avere la propria agenda in rete: è consultabile ovunque e, non esistendo fisicamente, non si può rubare, perdere, etc. Si vende spazio/disco online per archiviare dati in remoto. Sembrano piccoli passaggi ma sono i primi di un grande cambiamento, che toccherà molte nostre abitudini mentali, usi e costumi: e forse un giorno i nostri nipoti gioiranno nell’ereditare la concessione di vasti appezzamenti di hard disk a Tonga.