Una delle zone culturali completamente stravolte da Internet è il consumerismo. Una parola orrenda che descrive associazioni, riviste, ma anche movimenti politici e sociali che hanno come scopo quello di occuparsi di consumi e, più in generale, di tutelare i consumatori. L’argomento è fondamentale e attualissimo: siamo tutti consumatori di qualcosa, a vario titolo, e capire cosa consumare e come farlo meglio riguarda ognuno/a di noi; che non consumiamo soltanto prodotti d’uso, ma anche manufatti culturali come i libri, il cinema, la musica. E in fondo uno degli scopi di questa rivista è quello di contribuire a orientare i vostri consumi. Prima di Internet, Rumore ovviamente aveva una funzione diversa: la descrizione di un album doveva evocarne l’ascolto, oltre a fornire un parere. Per la quasi totalità dei lettori la recensione era l’unico contatto con la nuova musica. Oggi è cambiato tutto, e mentre leggiamo dell’uscita di un nuovo album possiamo ascoltarlo in tempo reale, e conoscere altre decine di pareri sotto forma di commenti, blog, social media, etc. Quindi oggi si scrive di consumi musicali tenendo anche conto di questo fattore. Curiosamente, il primo articolo che ho scritto per Rumore era la recensione di un dentifricio: consumerismo R’n’r.
Altre zone di questo settore hanno subìto l’effetto della rete in modi diversi. Un genere letterario che a volte mi piace (ma altrettanto spesso mi fa morire dal ridere) sono le recensioni dei ristoranti, che fino all’avvento del web erano importantissime. Scritte da personaggi quasi mitologici, i critici gastronomici, questi articoli costituivano la bibbia per molti amanti del cibo, e una sentenza (talvolta di morte) per i ristoratori. L’apoteosi del consumerismo gastrico naturalmente era la Guida Michelin, con le sue famose stelle. Oggi però le stelle le diamo tutti, su Google, Tripadvisor, etc. Giuseppone non fa altro: cappuccino, cornetto, quindi recensione istantanea della colazione. Rating tre stellette: cappuccio ok, ma sopra c’era poco cacao. Per fortuna di Giuseppone non si fida nessuno. Ma se altri 6.793 utenti hanno trovato quel cappuccino inadeguato, un po’ conta, no? In certi casi le nostre stellette sono diventate più importanti di quelle Michelin.
La rete offre anche alcuni vantaggi evidenti. Se sto scegliendo una macchina fotografica, mi interessa innanzitutto cosa ne pensa un esperto, un professionista. Siccome però io non lo sono, poi vado anche a vedere cosa ne dice Giuseppone, che fotografa male come me, e altri 200 Giusepponi in giro per il mondo, il cui parere mi somiglia di più. Questo è il fattore che ha più messo in crisi il Consumerismo old school, tanto popolare nel Nord Europa; quello che analizza, smonta, testa e poi recensisce prodotti. Che oggi è diventato un genere di YouTube, a volte esilarante ma raramente affidabile. Mentre ci sarebbe un gran bisogno di consumerismo cazzuto, invece di quella gazzarra indegna che c’è in italia (finanziata perlopiù dallo stato), dove la tutela dei consumatori è scarsa e inefficace.
Ma è proprio su YouTube che il consumerismo sta raggiungendo nuovi abissi di oscurità, labirinti inesplorati di ambiguità e raggiro. Quando si dice “Influencer” si sta parlando di una persona che, a vario titolo, ne influenza delle altre (quelle influenzabili). Cosa influenza? Magari il linguaggio, forse delle abitudini o degli stili di vita, certamente dei consumi – molto spesso a pagamento. Ma in un contesto di consiglio amichevole, non di réclame. Quando qualcuno (chiunque minimamente famosetto) dice in pubblico (online oppure no) “Io uso questo prodotto e mi trovo tanto bene”, il suo atteggiamento è consumerista: “Tra tanti fondotinta che ho provato, questo è il migliore.” Il suo consumerismo però è infido e disonesto, perfino se ci crede veramente. Mentre qualcuno dovrebbe autorevolmente dire: “I nostri test hanno dimostrato che usando questo fondotinta tutti i giorni, tra cinque anni probabilmente ti verrà un’allergia ai peperoni”.