Le nostre case diventano musei di tecnologia arcaica, necessaria per utilizzare vecchi supporti come dischi o cassette. Coi computer va meglio? Non sembra: ascoltare un mp3 nel 2020 potrebbe essere un problema.
Uno degli effetti più sgradevoli della tecnologia è quello degli standard concorrenti. Il case study classico è la battaglia per l’home video tra Betamax e Vhs. Gli esperti dicono che era meglio il primo ma si sa che vinse il secondo, e quanti s’erano comperati un Beta si ritrovarono fuori standard, fuori dal circuito commerciale, insomma fuori. Lo stesso era avvenuto qualche anno prima per i registratori audio: lo Stereo 8 (splendido formato tamarro sul quale è nato un culto) fu ammazzato dalla Cassetta, che sopravvissuta al disco resta uno dei due standard dell’industria. Un altro caso esemplare fu la fotografia; con l’avvento delle automatiche si moltiplicarono i formati, ma stavolta senza vincitori: c’erano decine di standard diversi la cui reperibilità a volte diventava un’odissea. Il trucco era proprio quello: legarti a vita ad un formato proprietario brevettato dalla stessa azienda. L’abilità del consumatore quindi doveva essere di capire se un prodotto avrebbe avuto abbastanza successo da garantirgli una vita decente; insomma il buon vecchio: “Ma poi si troveranno le ricariche?” E questa accortezza vale ancora per tutti i prodotti con “ricarica”, dagli aspirapolvere (esistono immensi negozi che vendono esclusivamente migliaia di tipi diversi di sacchetti) alle stampanti.
Quando sono arrivati i computer è stata subito gazzarra: Commodore, Sinclair, Amiga, Atari, Apple, Ibm… Sistemi chiusi e non comunicanti tra loro. Peggio, ognuno con sue periferiche: floppy, nastri, cassette, cartucce, etc. Ma dopo questo inizio affollato la situazione s’è subito fatta angusta, e la guerra (economica e anche legale) combattuta tra Windows e Apple continua ancora, anche se di fatto ha vinto Windows (con metodi sui hanno avuto da ridire le commissioni antitrust di mezzo mondo): una recente campagna di Apple si chiamava I switch, e il concept era appunto la facilità di passare da Windows a Mac.
Infatti oggi qualcosa è cambiato: il problema non è più la compatibilità ma la retrocompatibilità. Qualcuno di voi avrà ricevuto per Natale uno di questi lettori Dvd con Vhs: ibridi mostruosi, creati proprio per fare convivere i due standard. Coi computer il problema è lo stesso: un nuovo word processor, per esempio, deve avere tra le sue caratteristiche principali quella di poter leggere documenti scritti coi vecchi software. Perfino in rete le cose non vanno molto meglio. Un video può essere in formato Mpeg (1, 2 o 4), Avi, Windows media, Dv, Realmedia, Divx o Quicktime; per ognuno bisogna avere un software altrimenti non si vede, e per rivederlo tra vent’anni bisognerà avere un programma compatibile, proprio come col Vhs o col 78 giri – e non è detto che sarà disponibile per Windows 3000.
Un disastro? Non totale, se si considerano due fattori. Innanzitutto che almeno in certi campi sono nati degli standard comuni non proprietari: il txt e l’rtf nella scrittura, dv e raw per audio e video, img e jpeg nelle immagini e l’html nella ipertestualità, formati dei quali è ragionevole prevedere la compatibilità quasi eterna. Ma soprattutto che l’alternativa alla Babele degli standard proprietari (esistono sei tipi di memorie per le digicam, e nessuna è compatibile con le altre) sarebbe la vittoria di uno sugli altri, che se certamente garantirebbe una compatibilità totale implicherebbe anche una cosa che per fortuna qui da noi è ancora (per poco, direi) vietata: il monopolio.