Ognuno usa le tecnologia secondo la sua sensibilità. Ma invece di andare verso comportamenti comuni, si passa da un estremo all’altro, come se oggi fosse ieri, o già domani.
L’espressione Rivoluzione Tecnologica, benché forte, mi pare adeguata al cambiamento che ha portato nelle nostre vite. Un cambiamento quasi sempre benigno, che però ha scombussolato molte abitudini consolidate. Noi umani, lenti e abitudinari, facciamo fatica a adeguarci, a uniformare i nostri comportamenti e reazioni alla tecnologia. Un esempio da manuale è il cellulare: se si esce a cena si possono osservare approcci diversissimi all’uso del telefono. C’è chi a tavola lo spegne, chi mette il vibracall e chi lascia la suoneria al massimo. Quando squilla poi, ognuno reagisce a modo suo: c’è chi si alza e esce, chi avvisa che è a cena e riattacca, e chi invece intavola lunghe conversazioni anche superflue, apparentemente ignaro della presenza di altre orecchie. Ma non è solo questione di educazione: le chiamate perse sono in grado di gettare certe persone nel panico, mentre altri le ignorano. O se richiamare sia obbligatorio o meno: alcuni se l’aspettano e si arrabbiano se non lo fai, mentre per altri invece è come il telefono fisso, vuol dire che non ci sei o non puoi rispondere. Come dicevano certe segreterie negli anni ’80 – quando si poteva ancora non esserci. Tempo fa un giornale femminile poneva alle lettrici la domanda: “Ci si può lasciare via SMS?” Una domanda lecita nel 2006, così come lo era negli anni ’70 a proposito del telefono fisso, che però era generalmente considerato troppo freddo e distante per una comunicazione così importante; indubbiamente qualcosa è cambiato. C’è poi un altro elemento dell’etichetta SMS non ancora definito: è obbligatorio rispondere? Fortunatamente, essendo una tecnologia non completamente affidabile, si può sempre sostenere di non averlo ricevuto.
Più difficile farlo con l’Email, altro mezzo di comunicazione potentissimo con cui, da un punto di vista del comportamento, faremo i conti ancora per un po’. Check mail: c’è chi si regola come con la posta normale, la controlla una volta al giorno e mai di domenica (che tanto il postino non viene), e chi lo fa in automatico ogni cinque minuti, fino ai fanatici dell’IMAP, che inoltra la posta in tempo reale dal mittente al destinatario. Anche nel modo in cui ci si esprime nei messaggi le differenze sono grandi: alcuni mettono l’intestazione e i cordiali saluti in perfetto stile postale, mentre altri ignorano le maiuscole e qualsiasi genere di forma. Certi estremisti poi usano la K invece del CH, come se avessero solo 160 caratteri. L’etichetta di una volta prevedeva che a una lettera personale si rispondesse sempre. E per l’Email? Dipende: c’è chi risponde ossessivamente a tutti messaggi e chi invia dei monosillabi solo se proprio necessario. E in quanto tempo si deve rispondere? 24 ore sono troppe? Per alcuni certamente sì, come uno che tempo fa mi ha scritto: “Ti ho mandato un’Email un’ora fa: non l’hai letta?” Trovo poi insopportabile la funzione Avviso di ricevimento (una sorta di ricevuta di ritorno elettronica), che certe persone inspiegabilmente richiedono. E quando non gliela invio (perché l’avviso di ricevimento mi sembra da atto giudiziario), quelli insistono: vogliono una prova certa, benché intangibile, dell’avvenuta ricezione, pur non dovendo loro dei soldi. Ci si può lasciare per Email? A me pare infinitamente meglio dell’SMS, e anche di una telefonata (almeno sul cellulare), ma i pareri sono alquanto discordi.
Ogni nuova tecnologia, oltre a facilitarci la vita, ci mette di fronte a scelte che rivelano un po’ di come siamo. Succede da sempre; ce ne accorgiamo di più adesso perché siamo in una fase di accelerazione, ma è una costante delle invenzioni: l’automobile, il telefono (che all’inizio i ricchi mettevano nella stanza della servitù, considerandolo troppo intrusivo), la radiolina portatile (causa di litigi da spiaggia senza fine negli anni ’60), la televisione (tuttora utilizzata in modi diversissimi e distanti), il walkman e ora la rivoluzione digitale. Siamo quello che squilliamo; il problema è che si sente, e l’orecchio non ha palpebra.
One thought on “Digiquette: dimmi come squilli”
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