Dipende dal rumore

Il concetto di Rumore, uno dei cardini dell’esperienza sonora, ormai da diversi decenni è entrato in una profonda crisi. Tant’è che questa parola sta rapidamente perdendo di significato, e naturalmente mi pare un bene. Una delle tappe essenziali del conflitto generazionale consiste proprio nel sentirsi dire dai propri genitori che quella non è musica, bensì Rumore. Succedeva cogli Who, capita lo stesso oggi con la techno, che a sentire certi genitori quarantenni sembrano i loro nonni (i quali però almeno contrapponevano Gorni Kramer, e non i Pooh). Inoltre da almeno due generazioni gli ascoltatori più attenti hanno imparato, grazie a musicisti come Cage o Coleman, che il concetto di Rumore è sempre relativo, e che ascoltare il mondo è spesso un’esperienza fantastica. Infine, grazie ai campionatori, da almeno vent’anni è possibile integrare dei rumori nella trama sonora della musica; questa pratica non coinvolge solo i musicisti concreti (cioè quelli che fanno musica usando dei rumori pre-registrati) ma tutti, dalla ricerca più intransigente al pop da classifica (passando per il rap, che col rumore musicale ha prodotto interi stili).

In teoria sarebbe Rumore “qualsiasi perturbazione sonora sgradevole all’orecchio prodotta da un succedersi irregolare di vibrazioni in cui manca un preciso carattere di periodicità” (Dizionario Garzanti). Questa definizione oggi sappiamo che è insoddisfacente, per molte ragioni. La parola Rumore sembrerebbe avere ancora una connotazione negativa, anche se oggi sappiamo che non solo il cigolio di una porta non è necessariamente sgradevole (benché sia effettivamente irregolare e aperiodico) ma può essere stupefacente, magicamente intonato col rumore (periodico e regolare) di una sirena che passa e chiosato dall’abbaiare di un cane (aperiodico, irregolare e per alcuni sgradevole). Il rumore del mare (irregolare ma periodico, e per molti sublime) mescolato a quello delle cicale (regolare, aperiodico e a volte molto funky) e al vento (un rumore capace di suscitare emozioni contrastanti e fortissime) costituisce un paesaggio sonoro talmente potente da essere considerato terapeutico: esistono (e si vendono) molti CD con questa combinazione di rumori.

Spesso capita, nelle conversazioni, di incappare nella parola Rumore usata negativamente. Tant’è che se si intende in senso buono di solito si precisa. Penso invece che nel 2008 dobbiamo rendere omaggio al Rumore e accoglierlo definitivamente, anche nel linguaggio, nella famiglia dei suoni buoni. Nel tempo abbiamo imparato che il suo succedersi irregolare di vibrazioni in cui manca un preciso carattere di periodicità a noi non risulta affatto sgradevole, anzi: un mondo senza rumori sarebbe ben triste. Viceversa sarebbe meraviglioso un mondo senza Rumori Molesti. Eh si, perché nel terzo millennio è l’aggettivo che conta, e su quello siamo d’accordo in molti. Il vero Rumore sgradevole del terzo millennio non è ne’ aperiodico ne’ irregolare, ma inscatolato e inesorabile, tonante e impunito. L’esempio perfetto sono ovviamente le suonerie dei cellulari (alcune delle quali sembrano ideate da sadici e indossate da non udenti), ma gli esempi sono infiniti: il segnale di chiusura porte dei tram (quello di Milano è davvero insensato), il rombo del traffico (un sottofondo molestissimo di cui nessuno si preoccupa), la costante diffusione di musica e pubblicità nei luoghi pubblici. Un assalto regolare e periodico alle nostre orecchie che non è solo molesto, ma copre lo splendido rumore del mondo. E sempre grazie a chi ha inventato il vibracall (e a chi lo usa).

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