Regola numero 948: per sapere cosa mi piace ho bisogno di quello che non mi piace. Non si scappa. E non solo perché così saprò che non mi piace (e quindi cosa invece sì), ma perché in certi casi rafforzerà il mio piacere. Nella musica capita spesso: non solo ascoltando Justin Bieber capisco come mai mi piace King Krule, ma il piacere si rafforza – anche nella consapevolezza di essere diverso (non poi così tanto: Krule sta raccogliendo molti elogi, meritatamente). Naturalmente si potrebbe voler vivere in un mondo dove c’è solo quello che ci piace, e in parte è già così (in quello che scegliamo per noi stessi, e non è poco). Ma completamente? Circondati solo di persone a noi gradite, di film belli e ristoranti perfetti? Non lo so, ma a naso direi di no. Se fossimo tutti vestiti uguali (cioè “bene” secondo la definizione di ognuno di noi), come ci distingueremmo l’uno dall’altro? Se ascoltassimo tutti soltanto musica fichissima (ognuno immagini la sua), come potremmo riconoscerci? Se sentissimo solo opinioni a noi gradite, come potremmo dissentire?
E’ un tema importante, che ha un impatto quotidiano fondamentale. Per esempio nei servizi musicali online tipo Spotify. Cerchi una canzone, l’ascolti, e lui ti suggerisce altri brani simili. Ottimo, sembra un buon metodo per scoprire nuova musica. In effetti lo è: in breve ti ritrovi a ascoltare decine di canzoni nuove, ma sempre simili. Alla fine avrai una stazione radio infinita che suona soltanto musica che ti piace. Bello? Non ne sono affatto sicuro, per mille ragioni. Innanzitutto perché esclude quello che in inglese si chiama Serendipity, l’incontro imprevisto con musica inaudita, esperienza rara ma mai da escludere. Poi per avere la misura di dove stanno i miei gusti rispetto al mondo, una misura spesso utile per capirlo, il mondo: tra le scelte azzeccate del film “The Bling Ring” c’è la musica, e ascoltando quel genere di R’n’B si può capire da quale immaginario fioriscano mentalità di quel tipo. E infine perché nella mia vita ho amato molto delle band che magari al primo ascolto erano un po’ ostiche, e che solo dopo qualche tempo apparivano nel loro perverso splendore (un esempio? I King Crimson. Un altro? I Primus). Ovviamente Spotify magari prova anche a proporli (per esempio agli amanti del Metal), ma non è affatto detto che piacciano al primo colpo. Dice: ma io vedo cosa ascoltano i miei amici, e quindi scopro musica nuova. Sì, ma sono pur sempre i tuoi amici, e s’immagina che abbiano gusti simili ai tuoi. Già gli amici dei tuoi amici sarebbero più interessanti, ma la vera domanda è: cosa ascoltano i tuoi nemici?
jpg difettosa
La stessa cosa sta accadendo con l’informazione online (clicca qui per vedere notizie simili) e anche con la televisione, che è on demand, consiglia, propone, chi ha visto questo ha visto anche quello, le serie si scaricano, Youtube si clicca e via dicendo. Tutte cose bellissime, che uso ogni giorno e delle quali capisco tutto il valore (essendo cresciuto nel monopolio della mediocrità televisiva). Mi chiedo però se non ci stiamo perdendo qualcosa, e cioè l’antipatico, l’odioso, i’impensabile. Perché è vero che a me piacevano i King Crimson, e mi è sempre piaciuto dirlo. Ma mi è piaciuto assai di più dichiarare che non sopportavo Rino Gaetano, che gli Abba erano il demonio, che gli Smiths facevano la lagna e che Gangnam Style mi pare l’unica buona ragione per comperare un Uzi e sterminare una festa. Però per dirlo devo conoscerli, e a ogni ascolto rafforzare (anche creativamente) il mio disaccordo, la mia distanza. Idem per la politica: comunque la pensiate, mi pare sempre più creativo dissentire, incavolarsi, discutere – perfino litigare. Il consenso m’intristisce; chi rafforza le mie opinioni, dopo un po’ non solo mi irrita, ma mi fa pensare che cerchi il mio, di consenso. Che poi lo faccia un software raffinatissimo non fa molta differenza. Lui saprà pure cosa voglio, ma il punto è un altro: io lo so davvero così bene?