Sto invecchiando. Me ne accorgo, tra l’altro, quando mi ritrovo a osservare fenomeni che oggi sono diversi da… e qua qualsiasi espressione è tremenda: da quando ero giovane, da una volta, da prima… Frasi terribili, ma tant’è: le cose per fortuna cambiano. Uno dei cambiamenti riguarda l’atteggiamento verso certi fatti di cronaca, e in particolare la scomparsa di giovani. Una volta si pensava quasi sempre alla fuga da casa: l’irrequietezza, gli hippie, l’autostop, ecc. Nessun telegiornale ne parlava, non se ne scriveva, non si sapeva. Oggi invece questi episodi diventano immediatamente notizie, e appena scompare un giovane (mi riferisco agli adolescenti, non ai bambini) scattano subito le ipotesi più terrificanti: rapimento, omicidio, violenza, la tratta delle bianche, ecc. Pare (non ho informazioni certe sull’argomento) che questo genere di crimini sia aumentato. Sicuramente i media ci hanno spesso raccontato (forse perfino un po’ troppo) nei dettagli delle storie veramente orribili.
Quando si interrogano i familiari di ragazzi scomparsi, questi escludono immediatamente l’allontanamento volontario, anche per un buon motivo: privilegiare questa ipotesi potrebbe indirizzare le indagini in una direzione sbagliata. Naturalmente c’è anche un’altra ovvia ragione dietro questo atteggiamento: quale famiglia si definirebbe disfunzionale? Quale genitore ammetterebbe di fornire ai propri figli un ambiente culturale disagiato, o degli standard educativi insufficienti? Ovviamente nessuna: è impossibile che il loro figlio (e peggio ancora la figlia) si sia allontanato volontariamente da casa. Credo che nei casi di allontanamento volontario di giovani dalle proprie famiglie (e aree di provenienza), le ragioni di oggi siano assai simili a quelle degli anni ’60, e le potremmo descrivere utilizzando il termine Divario. Allora il divario era innanzitutto generazionale, poi politico e spesso anche culturale: era in atto uno scontro titanico nella civiltà contadina i cui giovani, a differenza dei propri familiari, avevano studiato. Questo divario si rifletteva nelle aspettative delle nuove generazioni, radicalmente diverse e in certi casi opposte a quelle dei genitori. Oggi il gap non è più tanto politico quanto ancora generazionale, culturale e adesso anche tecnologico. Molto spesso le aspettative dei giovani sono (a buon diritto) davvero diverse da quelle dei loro genitori, ma questo rientra nella normale e salutare dialettica generazionale.
Poi però sappiamo tutti che esistono gli ignoranti fieri, le teste di cazzo monumentali, i dementi, i barbari e le bestie. Ne abbiamo incontrati tutti, no? Ecco, io mi sono spesso sentito vicino ai loro figli, i quali magari invece hanno degli interessi, vanno su internet, leggono dei libri e non ne possono più di sottostare a dei mostri, o magari abitare nel mezzo del nulla, in un’area che offre solo droga pesante, amaro e videopoker. In questi casi il divario mi pare giustamente insormontabile. Naturalmente si tratta di fratture difficili; in fondo sono pur sempre i tuoi genitori, benché non capiscano niente di nessuna delle cose che a te sembrano importanti, e quindi non capiscano te (spesso letteralmente). Perfino se ti impediscono con la violenza di perseguire la tua felicità (per esempio nel caso siate omosessuali in aree particolarmente arretrate) restano comunque situazioni dolorosissime. Io però so da che parte sto. Perché so che al mondo esiste gente impossibile, stronza senza limiti e imbecille senza redenzione. Lo so perché li ho visti, ci ho parlato e sono stato felice di andarmene. Però anche questi fanno dei figli, purtroppo. Insomma, quando sento di uno ragazzo scappato mi dispiace umanamente per i genitori, che dovrebbero avere notizie certe. Però, prima di trarre delle conclusioni, vorrei dare un’occhiata alla famiglia e all’ambiente di provenienza. Perché in gioco c’è la salvezza del giovane – salvezza da ogni male, se possibile – eventualmente anche dalla sua impossibile tribù.