Ecco un’espressione che detesto: “Io l’avevo detto”. E’ una frase terribile. Non risolve, spesso fa incazzare e mette distanza tra chi la dice e chi se la sente dire. Io cerco di starci molto attento, e infatti in tanti anni che ci frequentiamo non l’ho mai scritta, benché devo dire che mi sia capitato svariate volte di aver detto cose che poi si sono rivelate giuste: un esempio per tutti è la mia filippica contro Red Ronnie iniziata nel ’93, quando a molti sembrava una persona a posto, e recentemente rievocata (non da me, appunto) a seguito delle ultime performance dell’indomito Red, sempre alfiere di situazioni spiacevoli.
C’è un’altra cosa che avevo detto (anche qui) molti anni fa, che si è avverata, o comunque si sta avverando, che mi fa trasgredire a questa regola. Riguarda quella che oggi chiamiamo Cloud, nuvola: l’idea che esistano dei contenuti digitali ai quali possiamo accedere senza doverli necessariamente possedere. Un esempio è Youtube: certo che volendo i video si possono scaricare, ma non ha molto senso. E’ molto più comodo poter accedere a quei contenuti, magari pagando solo per l’uso che se ne fa. A me piace montare video, e ogni tanto vorrei Final Cut: non sarebbe bello se potessi comperarne tre ore di uso, invece che doverlo avere “fisicamente” nel mio disco rigido? Questo oggi sta succedendo, lentamente ma inesorabilmente. Con alcuni effetti curiosi, come questi nuovi servizi a pagamento attraverso i quali si può caricare la propria collezione di Mp3 su un sito per poi poterli ascoltare ovunque. Non avrebbe più senso vendere direttamente l’accesso alla musica, invece di venderci dei file per poi farceli rimettere in rete? Tanto molto presto i contenuti si sposteranno tutti lì, e potremo accedere a tutto pagando, si spera, un prezzo nominale – se non direttamente una tariffa flat. Fino a qui sono quasi tutti d’accordo, benché il modello di pagamento sia ancora controverso.
All’epoca (seconda metà dei novanta), insieme a questo sviluppo ne avevo previsto un altro, che si è avverato in modo curioso e meno plateale, ma che secondo me rimane valido: il trionfo del Dj, o meglio del Selecter (il modo in cui i giamaicani chiamano i Dj). Il miglior esempio di questa mia teoria è appunto il Dj, colui che mette i dischi in discoteca: “Questa sera, al Fikissimo Klub, DJ Kaphone (EmoTechno col botto)”. Questa informazione ci basta, benché in effetti Kaphone non suonerà la sua musica; per essere esatti dovremmo scrivere: “Suonerà brani di genere EmoTechno col botto, tra cui “Maranzamy” di Kottolengo feat. Concy, “Pikkantyzzimo” di Joyce Diotaiuty…”. Non solo sarebbe scomodo da leggere, ma sarebbe inesatto: io compro Kaphone, mi fido di lui, e so che lui selezionerà la musica migliore del genere EmoTechno col botto per mio conto. Nella musica elettronica, e in particolare nella dance, il Dj è più un mediatore culturale che un entertainer. Questa funzione è diventata vieppiù fondamentale con l’arrivo di Internet, Myspace, Soundcloud, ecc. Si atomizza la produzione (già assai sparpagliata nella musica indie) e diventa difficile, se non si è proprio degli adepti, seguire un genere: forum, radio online, gruppi… Ecco a cosa serve il Dj, ma anche un buon sito musicale: a selezionare, tra il tutto, la parte che potrebbe piacerci.
La cosa interessante è che oggi si stanno digitalizzando anche altri tipi di contenuti: film, video, libri, fumetti, foto, ecc. Ognuna di queste forme è soggetta a un’esplosione di contenuti (legali o meno) simile a quella della musica di qualche anno fa. Mi pare quindi evidente che abbiamo bisogno di nuovi Selecter per questi contenuti. In qualche caso già ci sono, in altri (come per il cinema o i libri) si tratta solo di cambiare medium. In ogni modo è a loro che dovremo rivolgerci per orientarci in mezzo a tutto, che è per definizione troppo. E in fondo a me l’idea di uno che di mestiere fa il Poesia Jockey mi piace assai.