Enough is enough

Cari Lettori,
dato che siete tra quelli a cui voglio più bene, ho pensato di scrivervi per raccontarvi cosa mi succede. Perdonate quindi da subito l’argomento privato ma non troppo. Ci conosciamo da anni e ormai penso sappiate come sono fatto: un po’ una testa di cazzo, a volte, ma spesso con delle idee quantomeno inusuali. E, nella maggior parte dei casi, mi pare, da voi ben accolte. Naturalmente oltre agli Avvisi di Chiamata faccio molte altre cose nella vita, e diverse di queste hanno a che fare con le idee. Negli ultimi anni in particolare mi sono occupato molto di tecnologie, della rete e di quello che ci succede dentro. L’ho fatto anche qui su Rumore non troppo tempo fa, parlando di Myspace. Un altro argomento digitale che mi sta molto a cuore è quello del porno amatoriale, talmente diverso dal solito da meritarsi una ricerca assai approfondita – che dura ormai dal 2000. Questa ricerca ha dato luogo a uno spettacolo curioso (definito “infotainment”), intitolato Realcore (che parla del porno per parlare del mondo), e a un futuro libro. Ho avuto molte difficoltà a far circolare queste mie idee in Italia; talmente tante che a un certo punto ho pensato che non fossero poi tanto interessanti quanto sembravano a me. Inoltre ho fatto una certa abitudine a venire considerato balzano, curioso, mercuriale.

Poi, l’anno scorso, sono stato invitato in Olanda a parlare a Netporn, un convegno internazionale sul porno online. Lì ho fatto una scoperta terribile e meravigliosa insieme: studiosi di tutto il mondo si sono detti stupefatti dalla qualità della mia relazione, e da allora continuo a replicare lo spettacolo in giro per l’Europa (e non solo, pare), a rispondere a interviste e a venire citato in saggi sulla cultura digitale. Il mio termine Realcore sta entrando nel linguaggio della comunità scientifica, e a luglio sono stato intervistato (e molto lodato, quasi troppo) da Mark Dery, una figura di primo piano tra gli esperti di cultura del web. Insomma una cosa bellissima.

Ma anche terribile: nel mio paese infatti, lo spettacolo non si riesce a organizzare: “Scomodo”, “Troppo forte”, “Hai sempre in testa la stessa cosa” sono alcune delle reazioni di quelli che potrebbero farlo succedere anche qui. Fin’ora in Italia l’ho fatto solo quattro volte, dal 2002 (e tre in Olanda solo quest’anno). Inoltre nessuno qui si è accorto che un italiano si sta facendo un piccolo nome in un ambito culturale internazionale dal quale siamo sostanzialmente esclusi; nessun giornale ha ripreso la notizia della ricerca o dello spettacolo – benché a molti sia stato segnalato. Le pochissime uscite sull’argomento sono dovute essenzialmente a giornalisti amici, che ringrazio, e ottenute solo grazie a rapporti personali.

Siccome a incarognirsi su queste cose poi si corre il rischio di ammalarsi, ho preso una decisione che mi pare inevitabile: smetto di cercare di diffondere in Italia queste mie idee. Lo spettacolo è disponibile qui fino a giugno e poi basta. Il prossimo sarà solo in inglese, come lo sono già il sito e il blog di Realcore, e come sarà il libro. Tra un po’ andrò a vivere in Olanda e allora l’Italia sarà solo un’altra opzione, come la Scozia o il Kazakhstan. Mi terrò le rubriche cartacee, come questa, e il blog. Ma insistere nel proporre qui le mie idee mi sembra insopportabile, un po’ come provarci con una signorina che t’ha già detto di no mille volte: inutile. Mi dispiace moltissimo, soprattutto perché il mio problema non è mai stato il pubblico, cioè voi, sempre attenti e complici, ma chi si frappone tra voi e quello che ho da dire e da mostrare. D’altronde però se le cose stanno così credo che la colpa sia di tutti: ognuno ha il paese, la stampa e la vita culturale che si merita. Io voglio di più, quindi me ne vado.

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