Etica morale

Innanzitutto grazie davvero per la vostra vicinanza: ho fatto un tale pieno di affetto che potrei scrivere gratis su Rumore a vita (ma non ditelo a Sorge). Vorrei anche scusarmi per aver fatto un uso privato di questo spazio: non ho potuto fare altrimenti, e non succederà più.

Come ho scritto a marzo, qui da oggi si parla di etica morale, un argomento che andrebbe affrontato ovunque: nelle scuole, nei posti di lavoro, tra amici e parenti, e invece NIENTE. Nella nostra società questa materia viene sostanzialmente delegata alla Chiesa Cattolica, che però ha tante di quelle schifezze di cui rendere conto che ha perso qualsiasi autorità morale, e chissà per quanto tempo. Col risultato che di etica non ne parla più nessuno, e anzi si diffindono delle credenze, e quindi dei comportamenti, palesemente non etici (come il culto della furbizia, diffusissimo in Italia).

“Etica: la filosofia della pratica, ovvero l’indagine e la riflessione sul comportamento operativo dell’uomo” (Enciclopedia Rizzoli Larousse). A questa definizione si potrebbe aggiungere che in particolare l’etica indaga sul comportamento operativo in relazione agli altri, ma in fondo anche in rapporto con le proprie idee: la coerenza – una cosa che pare ovvia ma non lo è affatto.

Il rapporto con l’etica è sempre molto personale e vario. Si va da chi dichiara di non averne alcuna, e si comporta di conseguenza, fino a chi – guidato dalle proprie convinzioni – passa ore al supermercato per accertarsi che nessuno dei prodotti che sta comperando sia in contrasto con le sue idee. Una cosa va infatti detta subito: a vivere secondo un qualche principio etico si sta peggio, si guadagna meno, ci si sbatte di più e si passa per fessi. Molti dei personaggi famosi che conosciamo, dalla politica allo spettacolo, non conducono un’esistenza etica (anzi, spesso si vantano della loro mancanza di scupoli) e molti li ammirano per questo.

E non raccontiamoci la favoletta che poi quelli che si comportano male vivano male, dormano male, etc. Macché: quelli non si pongono alcun problema e semmai dovessero venirgli dei rimasugli di coscienza se li fanno passare a colpi di shopping. Non c’è dubbio: a vivere secondo dei principi c’è qualcosa da rimetterci. Ma allora chi ce lo fa fare a cercare di condurre un’esistenza etica? Beh, io una risposta per tutti non ce l’ho; ho la mia personale, che magari non va bene per nessun altro. Eccola qui:

Nel corso della mia vita ho notato un fatto curioso: tutto è collegato. Si chiama meccanismo di causa ed effetto, ed ha risvolti molto complessi (o almeno così mi pare). Si va dal banale “Io ti do una cosa a te e tu mi dai una cosa a me” (che pare ovvio, ma non lo è affatto) all’evangelico “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te” (che se la gente seguisse questa semplice regoletta finirebbe la furbizia dannosa) fino al buddhista “Tutto è uno” (e quindi se vado in culo a te in fondo vado in culo anche a me stesso). Ma non c’è misticismo nella mia idea: solo una buona dose di sano egoismo. Ecco la mia ragione principale per cui condurre un’esistenza etica: se stessi. Gli inglesi hanno un proverbio che lo spiega bene: “What goes around, comes around” liberamente traducibile con “Quello che aggiungi al flusso prima o poi ti ritorna”, una bella spiegazione di questo concetto. Se io immetto dell’energia positiva nel flusso, questa poi effettivamente mi ritorna; e non solo dall’esterno, cioè dagli altri, ma – attraverso il mio atteggiamento di disponibilità e attenzione – me la produco in proprio. Lo stesso avviene con la negatività. Tutto questo pare strano pure a me, ma l’ho visto succedere mille volte.

Ovviamente però nessuno è perfetto: questa è una tensione, uno stato da raggiungere, una meta. Se fossi così bravo la mia vita sarebbe assai migliore. Fattostà che qualcuno sveglio ha detto che ogni buona rivoluzione inizia dentro le persone, e a occhio e croce parlava proprio di questo.