Devo confessare che, almeno all’inizio, una pensata ce l’avevo fatta anch’io: “Magari divento famoso e svolto davvero, la mia vita cambierà e sarà fichissimo; farò un pacco di soldi, conoscerò un sacco di donne che me la vogliono dare e la mia portiera sarà fiera di avermi nel suo palazzo”. Credo che sia umano, comprensibile e non condannabile: il desiderio di celebrità, coi suoi annessi e connessi, è una debolezza assai diffusa.
Peccato però che appena si diventa non dico famosi ma semplicemente un po’ noti, ci si tramuti istantaneamente in delle teste di cazzo. Delle poche persone famose che conosco, ce ne sono pochissime che riescono a mantenere intatta la loro simpatia (un esempio per tutti? Gli Elio). Gli altri, la maggioranza, fanno e dicono cose che ci vorrebbe uno psichiatra (o un killer professionista). Alcuni esempi:
Una band (cioè un “gruppo di persone insieme”) diventa famosa in due settimane; tutti felici e contenti? Macché: uno del gruppo (quello che scrive – bene – i pezzi) retribuisce tutti gli altri per essere la sua “band” (tenendo per se la gran parte dei soldi) e quando il gruppo viene ripreso dalla tv, fa avere al regista delle indicazioni precise: inquadrare innanzitutto me e poi gli altri, ma assolutamente niente primi piani a bassista e batterista.
Un noto cantante ultratrentenne che abita con la mamma infila una hit da 60.000 copie. Va a vivere da solo? Si compra dei bot? No. Resta a vivere con la famiglia (portandosi le signorine in albergo) e investe il tutto in giubbotto di pelle, decappottabile e cocaina. Al momento è assai giù, perché il suo ultimo album langue, la coca è finita, la macchina gli dà pene e il giubbotto è passato di moda.
Un famoso presentatore di programmi televisivi un giorno si rende conto che la musica che mette nel suo show rende dei soldi agli autori. Detto fatto contatta un musicista poco noto e gli propone di scrivere musiche originali per il programma, chiedendogli una stecca del 66% dei diritti totali che queste musiche frutteranno (“Lo fanno tutti”).
Notissimo cantante (modello mascella proletaria), invita una band meno nota – ma più antica ed interessante – ad esibirsi con lui in un megastadio. Un gesto nobile? Macchè: non solo non li paga niente, ma non gli fa fare neanche il sound check e, si mormora, gli chiede di dargli i soldi della Siae (parecchi milioni, nel caso di un grande stadio) che il suddetto gruppo incasserà grazie al concertone (infame, e oltretutto illegale).
Notissimo cantante ecumenico con barbetta: incontra, grazie alla sua casa discografica, un gruppo meno noto (ma assai più geniale ed interessante): “Ao ragazzi, mi piacete un casino, proprio. Ci sarei venuto al vostro concerto (non in un centro sociale, ndr), ma c’avevo paura che ci fossero quelli del Leoncavallo, sapete com’è”.
Una cantante italiana poco nota (ma proprio poco), fin dall’uscita del suo primo album (pochissime copie vendute) gira solo in taxi o accompagnata da qualcuno, perché pensa che verrà molestata per via della sua (poca, pochissima, irrilevante) notorietà.
Avete un gruppo e sperate di sfondare? Siete alla disperata ricerca di cinque minuti di notorietà (come quelle centinaia di poveri inconsapevoli ragazzi, sbeffeggiati quest’estate da Mtv in “cercasi vj”)? accomodatevi: qualcuno lo deve pur fare. Ma sappiate che c’è un prezzo che si paga per la notorietà. E non lo pagate solo voi, ma anche quei poveracci dei vostri fidanzati/e, parenti e amici che (in molti casi) vi vedranno tramutarvi, in tempo reale e in diretta nazionale, in coglioni con gambe e braccia. PS: Vi prego, miei cari lettori, di non chiedermi chi sono i suddetti “artisti”. Tengo famiglia, l’avvocato costa e questi qua sono proprio degli stronzi.