Lo scorso mese ho parlato degli scompensi mentali e comportamentali derivanti dal fatto di essere famosi, anche moderatamente. Stavolta, anche per correttezza nei confronti dei personaggi (alcuni moderatamente) famosi maltrattati l’altra volta, parliamo degli scompensi, non meno spettacolari, che si verificano nel pubblico (e quindi anche in qualcuno di voi) quando entra in contatto con persone famose (anche moderatamente).
Voglio subito precisare due cose. Primo: conosco il marasma che deriva dal fatto di trovarsi faccia a faccia coi propri idoli, e posso anche capirlo. Mi ricordo di quando ci si andava a fare una canna cogli Area. Erano gli anni ’70, e il gruppo aveva un atteggiamento davvero diverso e nuovo nei confronti del pubblico: niente camerini, niente security, accessibilità totale. E allora vai di canne, di discorsi strampalati sulla musica, sul mondo, sulla vita. Solo anni dopo ho capito quale immane sforzo dovessero fare quei poveretti per non mandarci affanculo tutti, noi e le nostre canne.
Secondo: è mia abitudine essere accessibile (potete contattarmi quando volete tramite posta elettronica, rispondo sempre), e quando faccio concerti è assai raro che non finisca la serata a chiacchierare (e a farmi le canne) con qualcuno del pubblico. Questa cosa mi piace quasi sempre molto, e non intendo cambiare abitudini. Sappiate quindi che siete sempre i benvenuti.
Detto questo, che cazzo te ne fai dell’autografo del percussionista degli Unbelievable Cazzons? Te lo attacchi in camera? Lo tieni nel portafogli? Ti ci fai bello cogli amici?
L’autografo: in che senso? Vuoi qualcosa scritto di suo pugno? Oppure sei del genere: “Ci scrivi ‘A Gianfrantonio con affetto'” per poi dire che siete amici (come se ci fosse l’ abitudine di scambiarsi biglietti di stima reciproca tra amici)? L’autografo, oltre i 12 anni di età, non lo capisco proprio. Se qualcuno me lo spiega mi fa una cortesia.
Ma se la cosa si limitasse all’autografo, sarebbe niente. Questo è un vero dialogo, colto in un bar, tra il cantante di un noto gruppo italiano (solitamente molto accessibile) ed un fan suo coetaneo:
Il fan: Minchia siete proprio fichissimi!
Il cantante: Grazie.
Il fan: Spaziali! Cioè il cd è il massimo!
Il cantante: Mi fa piacere che ti piaccia!
Il fan: Senti, ma tu come li… come è che… insomma come ti vivi i tuoi testi? Perché, cioè, io me li vivo proprio di brutto.
Il cantante: Beh…
Il fan: Me lo fai un autografo? Cioè, io non credo negli autografi, ma io, cioè io mi vi vivo un casino bene…
Potrei andare avanti ancora (il colloquio è durato diversi minuti), ma ci siamo capiti. E non basta ancora:
Un (poco) noto cantante è stato bersagliato di telefonate per mesi da un tizio che voleva delucidazioni sui testi, sui vestiti, sulla vita. Quando le chiamate sono diventate “una ventina al giorno”, il cantante ha cambiato numero. Io stesso, ancora meno noto di lui, ho questo problema.
Il membro di un noto complesso descrive la seguente sindrome: persone che, autonomamente l’una dall’altra, sostengono di essere state suoi compagni di scuola, malgrado questa affermazione sia platealmente falsa (il membro non ha cuore di dirgli la verità).
Alla fine di un concerto, dopo una giornata particolarmente dura, il chitarrista di un noto gruppo rock ha mal di testa. Un gruppo di fans davanti al camerino chiede di poter vedere e parlare al chitarrista. Il manager dice ai fans che il chitarrista non sta bene. I fans iniziano a dire che non è possibile, che è una rockstar di merda, e poi sputi e insulti per tutti, con un finale “I Mano Negra si che sono grandi, non voi”.
Io lo so che tu non c’entri e non lo fai; ci mancherebbe altro. Ma magari il tuo vicino, il tuo amico, tuo cugino si. E allora fagli presente che all’inizio erano tutti sempre accessibili, e che se la situazione è degenerata lo si deve principalmente a scene come queste, che rendono ridicolo chi le crea, e (alla lunga) stronzo chi le deve subire.