Feed the rich

All’inizio della rivoluzione c’era il downloading – illecito: Napster, Gnutella, Bittorrent. Le Major si lamentavano, e così anche gli artisti corporate, ma (per ragioni che ancora in parte mi sfuggono) decisero di non far niente, di denunciare tutti e sperare che tornasse il ’94. Qualcuno (tra cui il sottoscritto) già allora disse che in futuro non avremmo più accumulato Mp3, che la musica sarebbe stata come l’acqua: in streaming (come le tubature) anziché in downloading (cioè il modello del pozzo), e in abbonamento. E subito dopo che l’ultimo discografico fesso aveva bollato questa idea come irrealizzabile, iniqua e nemica dell’arte (come se Katy Perry…), ecco arrivare i primi servizi di streaming – che oggi si avviano a dominare il mercato. Deezer, Spotify, Beats/Apple (il cui servizio, identico agli altri, dovrebbe partire a breve) e l’ultima proposta, finanziata da ricche popstar, che si chiama Tidal e si distingue esclusivamente perché costa di più (anche se promette una qualità maggiore). A margine di questo fenomeno c’è stata una furibonda polemica tra i vari servizi e alcuni artisti, i quali sostenevano di ricavare pochissimi soldi dallo streaming. Si è parlato di schiavitù, si è detto che così si uccide la musica, relegandola a hobby per gente ricca.

Dice Mick Jagger (cito a memoria ma il senso è quello): “Quando siamo entrati nel business della musica (primi anni ’60) non esistevano royalties o diritti. Da un certo punto in poi, molti di noi hanno guadagnato cifre iperboliche. Dopo qualche decennio, la festa è finita. Quindi quella è stata soltanto una fase.” Vorrei aggiungere anche che, negli anni in cui la discografia regnava sovrana, per esempio i ’90, il prezzo al pubblico della musica era ridicolmente alto, e il valore della suddetta davvero bassissimo. CD con dentro 7 minuti di musica decente e 52 di mondezza di seconda scelta messa lì per far gonfiare i diritti, venduti a cifre ridicole. O album spremuti fino all’osso (un esempio? Nero a Metà di Pino Daniele), prezzati trent’anni dopo come se fossero nuovi (uno scandalo che continua ancora oggi, per esempio su iTunes). Gli artisti allora protestavano? Manco per niente: ci rintronavano di fuffa e passavano all’incasso, pensando che quelle somme indecenti fossero loro dovute. Quando nel 2000 arriva Napster e la gente inizia a scaricare tonnellate di musica gratis, certamente questi due fattori (il prezzo ingiustificato e la scarsa qualità della musica, che suggeriva di scegliere bene cosa comperare) sono decisivi. Non solo, ma negli anni precedenti esisteva una connessione ideale tra artisti (che lavoravano tantissimo e producevano album indimenticabili) e pubblico (che comperava quella musica e sosteneva chi dava loro voce). Questa connessione, già sfibrata dall’arrivo del CD (un formato mai sfruttato creativamente a fondo, a differenza dell’LP), è morta sotto i colpi di MTV, del Pop fatto per vendere, dei cantanti fotocopia. Quindi quando arrivano gli Mp3 gratis, il pubblico non ha alcuna remora: è come se da McDonalds ci fosse lo sciopero dei cassieri.

Adesso, un gruppo di “artisti” Pop (ex interessanti, gente sgonfia e vari altri irrilevanti proprietari di piscine) vuole salvare la musica facendocela pagare di più – e non solo per la qualità: il servizio standard di Tidal costa il 30% in più di Spotify (mentre quello Hi-Fi il 300%). Mi pare un’iniziativa pessima, considerando che la musica di questa gente appartiene anche alle Major, che quindi saranno le principali beneficiarie di questo aumento. E mi pare scandaloso che dei ricchi scoreggioni tentino di far pagare all’incolpevole pubblico il prezzo di anni di discografia di merda, di artisti mediocri e incapaci di produrre musica consistentemente buona (con qualche eccezione) e di incapacità di capire il presente, figurarsi il futuro. Vogliamo salvare la musica? Il prossimo che fa un videoclip sessista per una canzone che assomiglia a altre 200, lo buttiamo da una rupe. Forse allora, pian pianino, la musica migliorerà (a costo zero).

One thought on “Feed the rich

  1. Mi trovi d’accordo su tutto, specialmente sui video sessisti con scene rallentate dove il mondo è fatto di lusso. Sono quasi tutti così, e non invogliano uno come me a guardare videoclip, ergo MTV non è più un veicolo di promozione musicale, infatti è un canale uguale a DMAX, se non erro.
    Ma mi sorgono spontanee alcune questioni, per capire come salvare la qualità della musica:
    – oggi ho 44 anni, ma a 15 amavo cose più superficiali; questo per dire che il fattore età conta molto nella scelta di cosa ascoltare.
    Ero un ragazzino curioso, quindi ascoltavo da Sex Pistols a T-Connection (ho un fratello che allora faceva dj in radio, e la musica che arrivava in casa, tramite cassette registrate, era tanta). Negli anni ’90 la cosa è peggiorata (affascinato/incuriosito da cose elettroniche varie, all’epoca abbastanza commerciali), seppur, come binario parallelo, avevo un punto fisso con rock’n’roll.
    – le grandi case discografiche, che a fatica si sono modernizzate, hanno sempre avuto risorse per una promozione musicale che noi sappiamo essere “ad hoc” (principali canali radiofonici, carta stampata, tv), mentre una indie, o una etichetta non-major, spesso non ha tutte queste risorse iniziali, ma dalla sua ha maggior qualità musicale.
    – negli ultimi 10 anni ho notato un calo vertiginoso della qualità musicale, soprattutto se si accende una radio: per forza di cose senti plastica, non si scappa – e non parlo solo delle produzioni “dance-oriented”, ma anche del prodotto tipicamente pop. Vorrei pensare che questo discorso lo facevano a me quelli, ai tempi, più grandi di me, eppure ho la sensazione che sia molto diverso il panorama, oggi. Si sia proprio modificato (per effetto dell’eccessiva tecnologia usata male, forse).

    Quando mi parlano di “musica liquida”, io, che addirittura conservo gelosamente una collezione in vinile e in CD, non rimango inorridito, ma ho molti dubbi, perché questa modalità ha di certo dato opportunità di avere un immenso archivio digitale a portata di dito, ha reso la musica portatile e trasferibile come mai prima d’ora, l’ha resa meno ingombrante di certo.
    Ma che musica si ascolta oggi?

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