Figli di vacca

Stavolta vi scrivo dall’India; era un po’ che volevo tornarci ed e’ certamente un posto che ispira molte riflessioni. Devo dire che qui mi trovo sempre molto bene, e che tra le nazioni “in via di sviluppo” (un’espressione di merda, traducibile liberamente come “in via di appiattimento socio-culturale”) l’India mi pare molto ben messa. E se da un lato ha molti difetti (come per esempio la bomba atomica) dall’altro sembra saper mantenere molte delle sue tradizioni (anche strane, e perfino barbare) alla facciazza dell’occidente “civilizzato” (altra espressione di merda, liberamente traducibile come “andato definitivamente in malora”).

Una delle cose sorprendenti dell’India e’ il suo rapporto con le vacche (NON i buoi, che vengono utilizzati come bestie da trasporto). Chiunque sia stato in India ha visto che questi animali, pacifici e innocui (tranne che per i fruttivendoli, che li allontanano a suon di cazzotti in testa), sono considerati dagli indiani l’equivalente dei nostri piccioni: animali liberi in citta’, che si nutrono di quello che trovano (nei mercati la sera e’ pieno di belle muccone che spazzano i rifiuti) o che qualcuno nutre (ma a differenza dei piccioni non portano malattie e soprattutto – per fortuna – non ti cacano in testa). Hanno le loro zone preferite, imparano da piccole a scansare le auto, sono protette dalla legge (se investi una mucca puoi perfino finire in carcere) e si sono create un ecosistema che consente loro di vivere in citta’. Certo, nel traffico caotico delle metropoli indiane (Mumbai ha 17 milioni di abitanti) la vacca placida e ignara crea qualche problema. Ma anche vivere vicino al Vaticano a Roma e’ difficile, con mandrie di pellegrini che, come vacche al pascolo, si aggirano per quella zona. Ma non c’e’ molto che si puo’ fare; i pellegrini a Roma sono come le vacche a Varanasi: intoccabili.

Ovviamente in India non si mangia manzo (come purtroppo a Roma non mangiamo i pellegrini); macdonalds produce hamburger di montone e io ho personalmente mangiato una “chicken steak” (mezzo pollo disossato e picchiato fino a convincerlo ad assomigliare ad una bistecca);;non si vendono;scarpe di vacchetta ne’ bottoni di corno. La ragione di questo rapporto con la vacca (perche’ almeno gli indiani hanno un buon motivo: mica come noi coi fetidi piccioni) e’ che costei, nel complesso pantheon indu’,;e’ sacra. Per loro questo animale rappresenta l’abbondanza, e lo considerano come la loro madre; durante le feste gli fanno il puntino in fronte, le nutrono e ci convivono con gioia (e vi garantisco che uscire la mattina e incontrare una placida mucca sotto casa non e’ niente male).

Dunque per gli induisti la vacca e’ sacra. Nel senso di santa, come l’ostia benedetta per i cattolici o una moschea per i musulmani. Eppure in tanti anni che vengo in India nessuno si e’ mai permesso di dirmi niente sul fatto che io sono cresciuto mangiando succulente fettine della loro madre. Loro sanno benissimo che e’ possibile che la mia cintura sia fatta di pelle, e che quella pelle;potrebbe essere;della loro mamma; ma i paciosi induisti non mi insultano se la porto, ne’ mi;vietano di indossarla, perfino;nel loro paese; semplicemente mi chiedono di toglierla se entro in un tempio – e lo fanno molto gentilmente, senza isterie e con un gigantesco senso di tolleranza e di pace universale.

Durante i mondiali di Corea, in Italia si e’ molto parlato del fatto che i Coreani mangiano il cane. Costanzo ne ha fatto una crociata personale, inveendo a mezzo video contro quei “barbari e incivili” coreani colpevoli di cibarsi di un animale che Costanzo (e molti altri esseri umani come lui) considera;evidentemente;migliore di;una mucca.

Mi chiedo: forse il cane e’ sacro in Italia? Che noi lo consideriamo nostro parente (forse uno zio? Questo spiegerebbe l’espressione “zio cane”)? Come mai gli indiani sono cosi’ tolleranti verso di noi che mangiamo la loro madre (al sangue, per piacere) mentre noi, per un semplice animale da compagnia (che piace a molti, ma non a tutti: io preferisco di gran lunga i gatti, o perfino gli acari) facciamo un gran putiferio, minacciando l’isolamento culturale ed altre rappresaglie?

Forse perche’ noi, nella nostra avanzatissima civilta’ che non ha caste e che considera “in via di sviluppo” chi non le somiglia, abbiamo perso per strada il concetto di tolleranza e di diversita’, e ci pare che quello che facciamo noi va sempre bene e quello che fanno gli altri, se differisce, non va. Gli indiani “in via di sviluppo” invece tollerano le differenze, forse perche’ sono tradizionalmente un popolo multireligioso: la maggioranza e’ induista, ma una buona percentuale e’ buddhista (e quindi mangia anche la mucca, ma non la macella) e ci sono circa 100 milioni di musulmani (che macellano e mangiano le vacche, ma non il maiale). In questo meraviglioso caos religioso e culturale nessuno pensa che gli altri sbagliano (come invece pensa Costanzo) e nessuno (ma proprio nessuno) cerca di convincere qualcun’altro a cambiare idea: una delle pochissime religioni che ammette e incoraggia l’ignobile pratica del proselitismo e’ proprio la nostra, quella cattolica.
Chiudo con una piccola idea: per Pasqua, mangiamoci Costanzo; basterebbe per tutti (perfino dimagrito), ci libereremmo di una voce intollerante (e mortalmente noiosa) e affermeremmo un principio sacrosanto: tolleranza per tutti, tranne che per gli intolleranti. Per loro, cottura al forno, ripieno di pinoli e patate per contorno. Felice 2003.