L’epopea degli anni ’60 può certamente essere letta anche, e direi soprattutto, come una storia di liberazioni seriali, progressive e in qualche modo inevitabili, iniziate nella decade precedente. E’ difficile dire chi abbia cominciato, se i giovani, i blacks, le donne o quale altra “minoranza”: nei quindici anni che vanno da Il Selvaggio a Woodstock c’è stata una specie di grande tempesta dello zeitgeist, così che la coreografia delle liberazioni risulta talmente compatta da confondere, e per ogni anno c’è almeno uno scatto culturale visibile, spesso assai rumoroso e quasi sempre con una evidente connotazione sessuale. L’immagine simbolo di The Wild One (un Brando quasi troppo bello, accanto alla sua Triumph) è stata la primissima locandina a contenere in bella evidenza (e quasi esattamente al centro della foto) il pacco della star, graziosamente custodito nei suoi 501. Il caso di Woodstock è perfino più interessante: la copertina originale del triplo album era una foto del pubblico (una scelta perfetta), e naturalmente l’immagine che molti ricordano di quel festival (ma anche dei vari Parco Lambro a Milano qualche anno dopo) è la gente che balla nuda e il clima di festosa liberazione – anche sessuale.
Il pacco di Brando del ’54 è l’equivalente delle tettine di Janis Joplin nella celebre foto di Bob Seidemann, scattata nel ’67 e, a pensarci bene, in ambedue i casi il messaggio è esattamente lo stesso di The times they are a’changin’ di Bob Dylan (scritta nel ’64). Perché non si tratta di comunicazioni in codice per pochi iniziati, bensì delle dichiarazioni di un certo settore della società (coloro che si apprestavano a cambiare, o l’avevano già fatto) a un altro, e cioè sostanzialmente le generazioni precedenti. E tra gli elementi più dirompenti di questo messaggio c’è sempre la sessualità, quello che intorno al 1969 in Italia si chiamava L’Amore Libero. Ancora zeitgeist: c’è un film di Salce del ’62, La Voglia Matta, con un sublime Ugo Tognazzi e una diciassettenne Catherine Spaak che racconta perfettamente la relazione tra i quarantenni (affascinati, spaventati e se maschi perennemente ingrifati) e i giovani di allora: sono già due pianeti diversi, e non è solo una questione generazionale ma sociale, e in fondo anche politica. E se solo qualche anno prima i giovani erano soltanto adulti imperfetti, qui sono già dei marziani. Un po’ come Barbarella (1968), l’eroina del 40.000 D.C. che salva le galassie in hot pants e che tanto ha contribuito alla costruzione dell’idea di Rock Chick.
Woodstock è considerato il punto culminante di una decade. Mi sembra però anche contenere molti dei temi che caratterizzeranno gli anni successivi: la sperimentazione con le droghe, anche quelle rifiutate negli anni ’60, i vari tentativi di creare società parallele dei giovani, un esperienza che in Italia si concretizza tra l’altro nel fenomeno delle comuni, e poi delle case occupate. E naturalmente la rivoluzione sessuale, che tra il ’70 e l’84 (cioè tra l’introduzione della pillola anticoncezionale e l’arrivo dell’AIDS) ha prodotto una serie di fenomeni (alcuni difficilissimi, come le coppie aperte) tra cui lo sdoganamento della pornografia: il 12 giugno del ’72 esce nelle sale americane (quelle regolari) Deep Throat, e inizia la grande stagione dell’Hardcore. Che certamente ha molti difetti, ma sicuramente un pregio: inneggia al sesso ludico e non riproduttivo, a una sessualità gioiosa (specie agli albori del genere) in opposizione al bacchettonismo dark delle generazioni precedenti. Uno spirito che a volte anima l’Alt Porn contemporaneo, specialmente quando è generazionale. Il messaggio in fondo è lo stesso di quella rivoluzione: la sessualità è un gioco, un mezzo di espressione, di comunicazione tra persone simili e una trasgressione alle regole. Un comportamento che, a quarant’anni da Woodstock, continua a essere problematico e dirompente – quindi efficace.
* George Clinton