Mi colpisce, e mi fa sorridere, la polemica tutta italiana sui giornalisti condannati al carcere. L’occasione poi mi pare davvero perfetta: Alessandro Sallusti (che all’epoca dei fatti dirigeva Libero) pubblica un articolo, anonimo e diffamatorio, che in realtà è di Renato Farina (spia dichiarata e conseguentemente radiato dall’Ordine dei Giornalisti), il quale non potrebbe proprio pubblicare niente. Come direttore responsabile, Sallusti s’è beccato più di un anno di galera. Naturalmente si è sollevato un coro unanime contro questo provvedimento, in un tripudio di distinguo; i due protagonisti infatti sono abbastanza indifendibili (e a qualcuno risultano perfino odiosi), benché il principio invece sembrerebbe universalmente accettato: niente più carcere per i giornalisti.
Come immaginate, a me piacerebbe moltissimo una stampa davvero libera, dove chiunque potesse esprimere la propria opinione senza paura. E, come ho già scritto anche qui, invidio molto i paesi che godono di queste libertà, grazie a costituzioni più garantiste della nostra e a leggi che tutelano sostanzialmente la libertà di opinione. In alcuni di questi paesi il ruolo della stampa è quasi sacro, e la libertà di informare è anteposta a qualsiasi altra questione. In altri, come gli USA, la libertà di parola è il cardine centrale intorno a cui ruotano tutte le varie regolamentazioni. Il risultato è che si può dire praticamente tutto. Il punto è: in che modo viene interpretata questa libertà da giornalisti e direttori di testate?
In un modo che da noi sembra veramente impensabile: ogni notizia viene meticolosamente verificata, spesso consultando fonti diverse per trovare conferme, e nel dubbio non si pubblica. Le informazioni potenzialmente controverse vengono passate al vaglio dell’intera redazione, di un editor, del capo-redattore, ecc. Per una ragione estremamente semplice: un giornale che pubblicasse una notizia non dico falsa ma anche solo imprecisa, metterebbe a repentaglio la propria credibilità in una maniera che qui in Italia non riusciamo nemmeno a immaginare. Ci sono giornalisti (e anche politici) che hanno dovuto cambiare mestiere per un’imprecisione colpevole, e subire conseguenze penali – non da gente che fa causa al giornale, ma citati dal giornale stesso, che si è sentito danneggiato dalle azioni di un giornalista disonesto. Basta leggere il classico libro sullo scandalo Watergate di Bernstein e Woodward “Tutti gli uomini del presidente” per osservare questo meccanismo all’opera. Nei film e in televisione ci sono spesso riferimenti a questi temi – spesso persi nella traduzione italiana.
Per le opinioni invece si adotta una politica diversa: chiunque può dire ciò che vuole di chiunque il quale, se vorrà, avrà spazio per replicare. Fine della storia. Le opinioni, qualsiasi esse siano, sono tutte legittime – perfino quelle completamente deliranti (come il pastore americano che periodicamente brucia il Corano, scatenando il pandemonio tra i fondamentalisti islamici). In Italia invece, se le opinioni riguardano delle persone, si applica comunque il principio della diffamazione: non ci sarà il carcere, ma spesso in passato sono stati ottenuti risarcimenti economici sostanziosi, e non solo ai danni di giornalisti: a comici e vignettisti non è andata meglio. Ecco come mai le opinioni in Italia sono così prudenti: se le possono permettere solo i ricchi – e i grandi gruppi editoriali.
Il caso Sallusti/Farina però è un po’ diverso: “La notizia” sottolinea la Cassazione in una nota “era falsa”. E il mio amore per la libertà di stampa non si estende alle notizie colpevolmente false: il carcere, la gogna, l’esilio, le liste di proscrizione, la deportazione coatta – niente mi pare adeguato a punire un gesto così spregevole.
illustrazione: Renato Farina (di Animo Zegels)