Lo spazio della musica è il tempo. Questa semplicissima affermazione, e cioè che come la pittura o l’architettura si sviluppano su superfici spaziali il suono ha nel tempo – e nella sua suddivisione – la sua superficie di sviluppo, ne contiene diverse altre più complesse. Per proseguire nell’analogia con le arti visive, si potrebbe dire che un brano di 30 secondi è come una miniatura, mentre il Lohengrin di Wagner è una specie di Cappella Sistina, un’opera monumentale. Per certi versi questo è vero, anche se è possibile cogliere una sensazione della Cappella Sistina con un singolo sguardo, magari lungo, mentre per ascoltare un’opera di quattr’ore e passa ci vuole sempre quel tempo. Il problema della durata nella musica è sempre stato centrale, ed è uno di quei fattori che rivelano molto, a guardarli bene.
La 3 minutes song nasce col 78 e poi 45 giri. E’ una forma che prima non esisteva, e che il Rock’n’roll ha affermato definitivamente. Una delle grandi liberazioni della musica Progressive negli anni ’70 è stata proprio quella di sperimentare durate diverse, finalmente libera dalla gabbia del 45 giri. E’ infatti il Long Playing (venti e passa minuti per lato) a liberare la musica dalla tirannia della brevità – e non solo la Prog: da Coltrane a James Brown, da Shorter & Zawinul a Grace Slick (tuttora stupefacente la sua Manhole, durata 15’24”), sono moltissimi i generi musicali che contribuiranno a creare la “Forma LP”, che resta il formato sfruttato in modo più intenso dai musicisti nella storia della riproduzione sonora (che, è bene ricordarlo, ha solo poco più di cento anni, contro i milioni della musica).
Da questo punto di vista infatti il CD non ce l’ha mai fatta. Introdotto nel 1983, è semplicemente troppo capiente: è davvero molto raro che un musicista abbia 80 minuti di buona musica da metterci dentro. Dato però che per ragioni commerciali più musica c’è meglio è, si è diluita la qualità (i CD sono quasi sempre pieni di musica superflua) e sono nati fenomeni di densificazione artificiale dei contenuti, come le compilation, i best, le ristampe filologiche: CD che promettono più del semplice ultimo CD di un artista. Curiosamente poi il Compact Disc, che in teoria consentirebbe una maggiore libertà di uso del tempo anche rispetto all’LP, arriva in un periodo – gli anni ’80 – in cui la musica si commercializza, la Pop Culture trionfa, le radio si omologano e la 3 minutes song diventa la regina incontrastata del soundscape contemporaneo, con contorno di suoneria.
A salvare il mondo ci ha pensato la musica Dance: l’esigenza di un flusso sonoro ininterrotto, e l’incredibile sofisticazione degli strumenti dei DJ, hanno riportato in auge i tempi lunghi, lunghissimi – quasi Wagneriani. E con la progressiva raffinazione della musica elettronica, che tende sempre di più a convergere in una zona stupefacente tra l’Elettronica accademica e quella stradale, inevitabilmente sono nati tutta una serie di esperimenti legati proprio alla durata: è già un paio d’anni che diversi DJ e produttori stanno pubblicando brani registrati di un’ora e anche oltre. Un fatto assai interessante, perché durate di questo tipo costringono l’autore a abbandonare tutta una serie di certezze, come il ritornello nella canzone o la chiusura della cassa nella dance, per avventurarsi in un mare di suono, un oceano di toni non poi così dissimile dagli incredibili azzurri della Cappella Sistina.